Alessandro M. Caprettini
da Roma
Si scrive Bruxelles, ma sempre più si legge Bisanzio. Ennesima controprova le 3 ore e mezzo del summit straordinario di ieri dei 25 ministri degli Esteri Ue sulla crisi libanese. Liti poi smentite, artifici dialettici a iosa per superare limpasse, la mancanza di ogni riferimento agli hezbollah (che Israele chiede sia inserita tra le forze terroristiche) e linvocazione di una forza multinazionale a far da cuscinetto salvo poi scoprire che esiste solo sulla carta.
Tutto è parso ruotare per lunghe ore nel dissidio scoppiato tra i ministri tra la versione della presidenza finlandese (prevedeva un «immediato cessate il fuoco») e chi riteneva questa formula «inaccettabile». Già si sapeva che Margaret Beckett, giunta da Londra con intenzioni bellicose, supportava la linea Bush-Blair contraria alla richiesta secca di interrompere lazione militare israeliana senza che questa riuscisse a colpire a fondo gli hezbollah. La novità vera è che allInghilterra si sono aggiunte Olanda, Repubblica Ceca, Polonia, ma soprattutto Germania. Londra e Berlino si trovavano daccordo per usare una diversa formulazione: solo «urgente», secondo loro, la necessità del cessate il fuoco. Ci si aggrovigliava a lungo sui termini e sulla valenza delle parole, col finlandese Tuomioja - il semestre è nelle mani di Helsinki - che insisteva spalleggiato dal francese Douste Blazy sul valore dell«immediato». Alla fine il solito compromesso: la Ue chiede «la cessazione immediata delle ostilità» come condizione per giungere «a un cessate il fuoco duraturo».
E ancora non si può scordare come nel corso dellappuntamento non è mancato un ulteriore scontro sulle vittime civili in Libano. La presidenza finlandese aveva preparato un testo in cui si rimarcava la scarsa considerazione israeliana per forme di precauzione, il che avrebbe potuto costituire per Gerusalemme «una grave violazione del diritto internazionale». Londra, Berlino e Praga si sono impuntate invece a far votare un testo in cui si rivolge un appello a tutte le parti in causa «per fare tutto il possibile per proteggere le popolazioni e a evitare atti che violino il diritto internazionale».
Alla fine il compromesso si è fatto. E, fatto non del tutto privo di significato, è stato approvato allunanimità con lauspicio di trasferirlo allOnu dove in consiglio di sicurezza, oltre a Gran Bretagna e Francia, siedono oggi anche Grecia, Slovacchia e Danimarca (temporanei). Douste Blazy ha tenuto anzi a precisare che proprio la mozione presentata dal suo governo può divenire quella di tutta lEuropa. Solo che al secondo passo previsto - quello appunto di costruire una forza militare dinterposizione - mancano ancora alcuni «sì» non del tutto marginali. Il via libera dIsraele cè, anche se bisognerà attendere ancora qualche ora o qualche giorno per lo stop allattacco finale agli hezbollah. I libanesi sono daccordo e non vedono lora che qualcuno faccia da cuscinetto sul loro confine sud. Ma i siriani, che pure proprio Parigi vuole coinvolgere? Solana, al termine dellappuntamento di ieri, ha rivelato che Moratinos, ministro degli Esteri iberico, andrà a Damasco tra oggi e domani. Ma fin qui non è che la Siria abbia mostrato favore per un intervento dei caschi blu.
E poi proprio la forza dinterposizione è tutta da costruire. DAlema, che ha chiesto agli Usa di spingere su Israele, rammentando che Gerusalemme è ad un bivio perché per la prima volta lEuropa si fa carico della sua sicurezza, ammette che si è molto in ritardo sul tema. I francesi si candidano alla guida, gli egiziani si tirano indietro, dei turchi si dice siano disponibili. I nostro ministro degli Esteri conferma lintenzione italiana di far parte della missione.
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