All'Arena i big dell'opera, biglietto da visita dell'Italia

Ieri a Verona c'era tutto il meglio del melodramma in mondovisione. E sul podio il numero uno: Muti

All'Arena i big dell'opera, biglietto da visita dell'Italia
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Gran festone ieri all'Arena di Verona. S'è cantato, suonato, ballato dall'imbrunire a notte fonda, per quasi quattro ore, in mondovisione Rai. Sul palco il meglio del melodramma, sul podio il numero uno, Riccardo Muti, nel parterre il presidente Sergio Mattarella e mezzo governo, che appunto s'è speso perché la serata avesse luogo, in testa Giorgia Meloni, quindi i ministri Sangiuliano, La Russa, Crosetto, Urso, il presidente della Camera Fontana e il governatore del Veneto Zaia, venti rappresentanti Unesco, sessanta ambasciatori. Fra spalti e platea migliaia di spettatori. Il festeggiato è il canto lirico, dal 6 dicembre patrimonio culturale immateriale dell'Unesco.

«Finalmente», esulta il tenore Francesco Meli. «Ma ora l'opera va protetta» aggiunge il soprano Eleonora Buratto. «In Italia l'opera è in gran forma», chiosa il baritono Luca Salsi. Sono i tre cantanti di punta di casa nostra, che ieri hanno cantato assieme al meglio del settore, da Netrebko a Kaufmann, Flórez, Tézier, Grigolo, Feola, Grigoryan, Pratt, Sicilia, Akhmetshina, Barbera, Jagde, Salas, Alaimo, per la danza Bolle e Manni. Provenivano dalla corona delle Alpi al tacco e punta d'Italia i 160 professori delle orchestre delle varie fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, e così pure 314 coristi, nella prima parte diretti da Muti (sinfonie dal Guglielmo Tell, Norma, Nabucco, Manon, Mefistofele) e nella seconda da Francesco Ivan Ciampa.

Li abbiamo visti schierati nel Te Deum dalla Tosca di Puccini, con Salsi nel ruolo di Scarpia, che poi ha inveito contro i «Cortigiani, vil razza» impersonando il Rigoletto di Verdi, clip quest'ultima - realizzata nelle due notti precedenti, «dall'una alle tre» spiega Salsi conquistato dal lusso del ciak si gira contro la sfida dell'opera dove vale la prima. E rilancia: «Mi piacerebbe fare un film sui Rigoletto. Budget a parte, perché no? Il genere operistico, inventato in una dimora fiorentina più di quattro secoli fa, s'è rinnovata continuamente, forte di una galleria di capolavori che come una ginestra sull'arida schiena resistono alle minacce di plurimi vulcani, il più tremebondo è la cancel culture». Ma anche, aggiungiamo noi, i registi egotici. Di fatto, ci ricorda Meli, «per una nuova produzione si lavora quasi un mese con il regista». E la musica? «Si concentra negli ultimi giorni. È anche un segno che i cantanti oggi arrivano alle prove più preparati».

La «cancel culture», il politicamente corretto, l'ossessione dell'inclusione a prescindere sono roventi negli Usa, mentre va meglio in Europa dove però non mancano scivoloni. «Tutto questo rischia di distruggere l'opera. Non puoi pensare di modificare il trucco di Turandot perché altrimenti offendi il pubblico cinese. Purtroppo questi attacchi vengono da una minoranza che ha il peso di una maggioranza. I libretti non si toccano. Nel canto, poi, non contano il colore della pelle o l'orientamento sessuale, si parte dalla voce», dice Eleonora Buratto.

L'evento di ieri, ma anche quello che - sempre in mondovisione - verrà realizzato da Lucca il 28 giugno come omaggio a Puccini (Muti dirige la Cherubini a 20 anni dalla fondazione) vale più di costose campagne marketing per la divulgazione dell'immagine del Belpaese. Con l'opera da sempre viaggia il meglio dell'Italia.

Bene, ma manca un tassello, l'ingranaggio senza il quale la macchina non gira: urge un'alfabetizzazione musicale, altrimenti il bendidio lasciato dai Verdi, Puccini, Rossini, Bellini, Donizetti, Monteverdi risulta di difficile consumo. I teatri in questi anni hanno fatto un prezioso lavoro di semina divulgando il melodramma dalla scuola materna in su. I giovani stanno ripopolando i teatri. Ora è la scuola che deve fare la sua parte.

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