Poche cose sono così americane come il mito della terra delle seconde opportunità, l’unico posto al mondo dove, una volta caduto, puntare alle stelle non è solo possibile ma quasi obbligatorio. C’è chi dice che l’epopea del sogno americano e della stessa frontiera sia basata quasi esclusivamente sul mito dell’underdog, lo sfigato sul quale non scommetteresti neanche un centesimo che, grazie alla determinazione e al duro lavoro, riesce ad avere successo. A chi considera gli americani gente mai cresciuta che continua a credere alle favole, vorrei far notare che la loro fede nel futuro è tanto genuina quanto incrollabile. Buona parte del successo clamoroso di questo paese è dovuto proprio alla consapevolezza che nessun incidente è troppo grave da impedirti non solo di rialzarti ma anche di trionfare. Non è dato sapere se sia questa fede a dare origine alle grandi storie o se sia esattamente il contrario. Una cosa è certa: senza queste storie è impossibile capire il mondo degli sport americani.
Se vi dicessi le parole Philadelphia e vincente per caso, sono sicuro che gran parte di voi mi risponderebbero senza esitare con due parole: Rocky Balboa. Il protagonista della fortunata serie di film che hanno reso Sylvester Stallone una stella a livello planetario è conosciuto praticamente da tutti. Quello che però non è molto conosciuto è come questa storia sia stata ispirata ad una vicenda veramente successa ma in uno sport diverso dal pugilato, il football. Proprio quando il film stava per uscire nei cinema, un trentenne venuto dal nulla riusciva a guadagnarsi un posto in una franchigia NFL, i Philadelphia Eagles, senza mai aver giocato al college. La storia del rookie più anziano del football pro è legata a triplo filo con lo spirito working class della Città dell’Amore Fraterno, diventando poi un film, “Invincibile”, nel 2006. Questa è la storia di Vince Papale, il vero Rocky.
Una città di "perdenti"?
Prima di descrivervi questa storia estremamente americana, meglio guardare alla città che è non solo sfondo ma vera protagonista. Philadelphia è una delle più antiche città del Nord America ma non ha niente di nobile. Rimane una città pratica, alla mano, senza troppi grilli per la testa, che fa l’impossibile per non credere a chi mormora che i suoi giorni migliori siano decisamente alle spalle. L’orgoglio della città della Pennsylvania sembra tutto riposto nel suo piatto simbolo, quella Philly Cheese Steak che ha estimatori in America e non solo. Di solito in questi casi servirebbe una sferzata da parte delle franchigie dei vari sport per dare quella scossa necessaria per svoltare l’angolo. Invece, da qualche tempo, le squadre di Philadelphia non fanno che dare delusioni ai tifosi. A chi dice che in America non sanno cosa voglia dire il tifo, sapete come la chiamano la City of Brotherly Love certi appassionati di sport? Loserville, la città dei perdenti. La delusione dell’ennesimo Super Bowl perso, peraltro in seguito ad una decisione discutibile degli arbitri, non è che l’ultima ingiuria alla passione dei fedelissimi di Philly, che sono entrati in un circolo di schiaffi da far paura. Tre finali perse nello stesso anno: i Phillies perdono le World Series, gli Union perdono la finale della MLS e, infine, gli amatissimi Eagles nel football. Chiaro che il nervosismo in città sia ai limiti di guardia.
Nel 2012 era toccato ad Atlanta una tripletta del genere ma la metropoli del Sud ha un’economia che gira e una movida culturale ben viva. Philadelphia, invece, non ha niente del genere. A meno di un rinascimento imprevedibile dei Sixers, ben lontani dai tempi di Doctor J, la depressione non potrà che continuare. A cosa si attaccano quindi gli sportivi? Al mito dell’underdog, agli eroi tutti d’un pezzo, profondamente working class. Ce ne sono uno vero e uno inventato che conoscono tutti, Vince Papale e Rocky Balboa, con la speranza che il terzo sia Jalen Hurts, il quarterback degli Eagles cui il carattere certo non manca. Cosa fare se il famoso “process” dei 76ers, il loro rebuilding che va avanti da anni ed anni, non ne vuole sapere di terminare? Come reagire all’ennesima stagione da dimenticare dei derelitti Flyers? Trovando conforto nel passato, nelle storie di quegli underdog che ce l’hanno fatta, confermando che Philadelphia non è condannata solo a perdere. Visto che Rocky, fino a prova contraria è solo un personaggio, meglio richiamarsi al vero eroe che ancora scalda il cuore di Philly, l’inimitabile Vince Papale.
Chi era Vince Papale?
Come succede spesso quando le grandi storie vengono trasformate in sceneggiature ad uso e consumo di Hollywood, il confine tra realtà e finzione è quantomai labile. Il caso del rookie più anziano della storia della NFL non fa affatto eccezione. Decisamente è il caso di chiarire le cose ed attenerci esclusivamente ai fatti, senza farsi prendere la mano dall’emozione. Ecco quindi la storia dell’eroe popolare di Philadelphia. Vincent Francis Papale è nato il 9 febbraio 1946 nella cittadina di Glenolden, a poche miglia dalla grande città della Pennsylvania. Alla Interboro High School il figlio di una normale famiglia italo-americana è appassionato di sport e ne prova diversi, dal football al basket fino all’atletica. Nella squadra varsity se la cava anche discretamente ma nel suo ultimo anno delle Superiori preferisce specializzarsi nei salti, ottenendo risultati più che discreti nel triplo, nel salto in lungo e specialmente nell’asta, dove finisce quarto in tutta la Pennsylvania. Il suo record è ancora nella top 10 dei migliori astisti delle superiori di sempre, il che spiega perché il Saint Joseph’s College gli offrì una borsa di studio.
Dopo essersi laureato in marketing, Vince prova ad entrare nel mondo del lavoro ma le cose non vanno decisamente come previsto. Sei anni dopo, l’ex stella dell’atletica è un supplente nella sua vecchia high school e, per fare qualche soldo in più fa il barman in un club di Philadelphia. Il football, a dire il vero, non l’aveva mai dimenticato. Visto che anche le leghe minori pagano decisamente meglio delle mance o dello stipendio da insegnante, provò ad entrare nei Bell, la squadra di Philly che giocava nella World Football League, uno dei tanti sfortunati tentativi di insidiare il primato della NFL nel football professionistico. Vince entra nel roster come wide receiver e fa una buona impressione. Le sue statistiche non sono affatto male: 9 passaggi per 121 yards, una media decisamente alta, 13,4 yards after catch. Evidentemente uno degli scout degli Eagles era presente, tanto da garantirgli un incontro privato con il nuovo, ambizioso allenatore degli Eagles, Dick Vermeil.
L’incontro non fu decisivo ma valse a Papale un invito ad un workout privato richiesto dal general manager Jim Murray per valutare alcuni walk-on, giocatori senza contratto ansiosi di entrare nel football senza passare dal draft. Nessuno si aspettava che Vince, un trentenne che non aveva mai giocato a football nel college, entrasse davvero in squadra ma ce la fece davvero, causando le reazioni entusiastiche di tutti i tifosi della Pennsylvania. Nelle due stagioni e mezza passate con gli Eagles, dal 1976 fino all’infortunio alla spalla nel 1979, Vince giocò 41 delle 44 partite della regular season, recuperando due fumble e mettendo una storica ricezione di 15 yards.
La sua storia però funzionò sia nello spogliatoio che in città, tanto da valergli il titolo di capitano degli Special Teams e il premio di Man of the Year per il suo impegno nella comunità. Dopo aver lasciato la NFL, Papale passò dietro al microfono, lavorando prima alla radio e poi alla televisione per otto anni, per poi passare ad una professione più tranquilla, occupandosi di mutui. Papale si è trasferito a Cherry Hill, New Jersey con la moglie Janet ed i figli Vincent e Gabriella. A Philadelphia, però, nessuno lo ha dimenticato.
Troppo bello per essere vero?
Come è successo che questa storia curiosa ma fondamentalmente popolare solo a Philly e dintorni sia arrivata sulla scrivania di un attore famoso come Mark Wahlberg? Il merito è tutto di NFL Films, che nel 2002 dedicò un servizio alla storia del rookie più vecchio della lega, trasmesso durante l’intervallo di Monday Night Football per celebrare i 25 anni dall’uscita di Rocky. La storia piacque ad un producer della Disney, che cercò subito di assicurarsene i diritti. Wahlberg è un grande tifoso dei New England Patriots e fu tra i primi ad essere contattati per interpretare Papale sul grande schermo. Il film arrivò quattro anni dopo con un cast di tutto rispetto, da Greg Kinnear ad Elizabeth Banks ma, chiaramente, nel passaggio alcuni aspetti della vicenda furono “aggiustati”. Eccone alcuni dei più curiosi.
- Vince Papale giocò un solo anno a football perché era troppo gracile e basso. Visto che la famiglia non poteva permettersi la retta universitaria, accettò la borsa di studio per l’atletica. Evidentemente il tempo passato ad allenarsi gli fece bene, tanto da fargli guadagnare diversi centimetri d’altezza e una quindicina di chili di muscoli.
- Se il padre e il nonno di Vince allevavano maiali, la madre Almira aveva giocato a baseball negli anni ‘30 in una delle tante leghe professionistiche femminili. In un’intervista Vince dichiarò che “quando non era malata, la mia più grande gioia era riuscire a battere mia madre in una corsa. Era un’atleta incredibile. Evidentemente il mio successo è dovuto in buona parte ai miei geni”.
- Dopo aver lasciato l’insegnamento per una carriera nei Philadelphia Bell, Vince finì con parecchi debiti quando la WFL fallì. In un’intervista dichiarò che “appena hai qualche soldo in tasca finisci per fare delle stupidaggini. I problemi iniziano quando gli assegni non arrivano più a fine mese”.
- Nonostante quanto sia detto nel film, furono gli Eagles ad invitare Vince ai provini aperti, assieme a qualche altro giocatore dei Bell. Effettivamente quel giorno si presentarono personaggi abbastanza singolari, come ricorda coach Vermeil. “Degli 800 che si presentarono ce n’erano di ogni tipo. Si andava da un dottore a gente con una pancia clamorosa fino a ragazzi che avevano appena finito la high school”.
- Cosa convinse coach Vermeil a dare una possibilità a Papale? “Il carisma, sicuramente e il fatto che fosse l’eroe dei tifosi di South Philly, l’area dove abbiamo lo stadio. Poi era davvero bravo”. La storia dell’incontro nel parcheggio mentre riparava la sua macchina rotta è invece del tutto inventata. Quando Vermeil gli comunicò che era entrato in squadra, Vince era nello spogliatoio. Papale, però, non se la prese: “cose del genere nel cinema sono normali”.
- Il touchdown segnato nel momento cruciale del film è un’altra invenzione degli sceneggiatori ma Vince non se l’è presa più di tanto, come del fatto che ci sia voluto così tanto tempo prima di vedere la sua storia sul grande schermo. In un’intervista Papale disse di essere “contento che ci siano voluti 30 anni, così posso condividerla con più persone, dai miei figli alla mia splendida moglie”. La sua scena preferita? Quando gioca coi suoi amici nel fango, dietro al bar. “Rappresenta l’innocenza di quelle partite, la gioia di giocare. Eravamo tutti gente cresciuta capace comunque di tornare bambini, divertirsi come se fossimo ancora alle elementari”.
Una vita spesa bene
Dopo un cammino così particolare, forse la cosa più speciale della vita di Vince Papale è quanto sia rimasta profondamente normale. A parte essere grato per aver potuto realizzare il suo sogno da bambino e giocare per la sua squadra del cuore, Vince rimane coi piedi fermamente piantati per terra. Quando un reporter dell’affiliata di Philadelphia della NBC gli chiese come sarebbero andate le cose se non ce l’avesse fatta a giocare per gli Eagles, Papale non si scompone più di tanto. “La mia vita sarebbe andata bene lo stesso. Sarei tornato all’università per prendermi un master per poi tornare ad insegnare alla high school. Sarei quasi in pensione ora”.
Come già dimostrato quando era nella NFL, Vince non si è mai abbattuto di fronte alle avversità. Qualche anno fa gli fu diagnosticato un tumore al colon, una malattia molto aggressiva che è comunque riuscito a sconfiggere. Le lezioni imparate nella lotta contro il cancro le sta trasmettendo agli altri, sia come testimonial e speaker per la charity degli Eagles Fly for Leukemia che come motivational speaker. L’impegno sociale di Papale non si è limitato al cancro ma lo ha visto impegnato in una serie di associazioni, dai Vietnam Veterans alle società per la cura della spina bifida e della sclerosi multipla fino alla American Heart Association.
Questo forse è il lato più bello di questa vicenda. Come tanti altri underdog vincenti, Vince Papale è rimasto non solo umile ma sempre disposto ad aiutare chi si trova nella sua situazione a trovare il coraggio di rimettersi in piedi. Questa, in fondo, è la vera lezione dietro a queste storie all’apparenza fin troppo petalose. Il fatto è che in America non hanno l’orrore per la retorica figlio alle nostre latitudini dell’overdose ricevuta durante il Ventennio e negli anni della Prima Repubblica. Dall’altra parte dell’Atlantico sognare non solo è possibile ma è quasi un imperativo categorico, un dovere sociale. Certo, c’è chi dice che il sogno americano è morto e sepolto e qualche anglofilo che cita il grandissimo comico George Carlin, che usava dire che “si chiama sogno perché devi essere addormentato per crederci davvero”.
Possibile, ma fino a quando ci saranno storie come quella di Vince Papale molti americani “non studiati”, che non sono passati nel tritacarne dell’ideologia woke che sono le università moderne continueranno a credere che se ti impegni e lavori duro tutto è possibile. Saranno pure sempliciotti ma non mi sembra che tutta la nostra sofisticazione intellettuale ci abbia fatto combinare qualcosa di meglio dalle nostre parti.
Se un sogno è talmente bello da farti alzare presto la mattina o a lavorare alle due di notte come sto facendo in questo momento, cosa importa se è vero o no? Invece di stare lì pronti a saltare sul carro del vincitore, provate una volta ogni tanto a fare il tifo per
gli underdog. Non solo vi farà bene all'anima ma, magari, riuscirà a cambiarvi anche la vita. Non ci vuole molto, basta crederci. E se non mi credete, chiedete a Vince Papale. Lui sa come si fa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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