Un altro vigile si uccide con l'arma d'ordinanza. Sono 14 i suicidi dal '96

Il sindacato: "Ora formazione psicologica e anche cassette di sicurezza per le pistole". Un disagio da affrontare

Un altro vigile si uccide con l'arma d'ordinanza. Sono 14 i suicidi dal '96
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Quello di tre giorni fa è il suicidio numero 14 dal 1996 tra gli agenti della polizia locale milanese. Il vigile, 56 anni, dopo essere tornato a casa dalla scuola di formazione del corpo dove insegnava, e aver salutato la sua compagna che stava uscendo, si è sparato con la pistola d'ordinanza. I colleghi raccontano come fosse apparentemente sereno, anche se una persona estremamente riservata e chiusa: quel pomeriggio aveva scherzato con tutti alla scuola. Così la sua compagna l'ha trovato allegro quando l'ha salutato. Poi l'inspiegabile tragedia. L'agente non aveva dato alcune segnale sul luogo di lavoro nè a casa, del suo stato d'animo e soprattutto delle sue intenzioni. Sotto choc i colleghi, che stanno assistendo a un fenomeno in allarmante crescita. Il sindacato Sulpl ha chiesto un incontro urgente al comando di Polizia locale e all'amministrazione per sensibilizzare sul tema e cercare delle possibili soluzioni perchè queste tragedie non accadano più.

«Nel 2016 il sindacato - racconta Daniele Vincini, segretario Sulpl Milano città (nella foto) - aveva chiesto che in ogni comando fosse installata una cassetta di sicurezza per poter depositare l'arma di ordinanza, dopo che un ufficiale si era tolto la vita con la pistola. La richiesta era stata rinnovata nel 2018 a seguito di un altro episodio, ma lo studio di fattibilità aveva evidenziato come, per tutta una serie di ragioni burocratiche, le cassette potessero essere installate solo nei comandi con una struttura di controllo 24 ore su 24 o fosse necessario creare una sorta di armeria in ogni comando. Poi non se ne è fatto più nulla». Duplice l'obiettivo della richiesta: permettere agli agenti che smontano dal servizio di non essere obbligati, come avviene, a passare da casa per lasciare l'arma, se devono recarsi in qualche luogo. Secondo: evitare che gli agenti abbiano disposizione l'arma in casa nel caso in cui fossero colti da un momento di estrema crisi. «Chiediamo all'amministrazione che si faccia nuovamente portavoce della nostra istanza al Ministero dell'Interno per trovare una soluzione concreta: dover per forza passare da casa dopo il lavoro - spiega Vincini - rappresenta un forte vincolo alla nostra libertà».

Non solo, il corpo di polizia locale aveva creato nel 2014 il progetto «Ponte», pensato proprio per aiutare i ghisa a superare momenti di difficoltà, stress da lavoro dovuto a aggressioni, conflitti, l'aver assistito a incidenti mortali particolarmente gravi. Si trattava di un nucleo interno, composto da una quarantina di vigili, ora ridotto a 20, che opportunamente formati offrivano ascolto e consigli, indirizzando i colleghi verso le strutture dedicate sul territorio. Una sorta di rete per il disagio mentale, che offriva supporto nei momenti di bisogno. «Il progetto oltre che dimezzato, lavora a maglie troppo larghe» riflette Vincini.

Ora il Sulpl chiede che «il progetto venga incrementato riportando il nucleo a 40 agenti, coinvolgendo gli ufficiali, e cercando di individuare altri temi della formazione che permettano di intercettare i segnali di squilibrio prima che sia troppo tardi».

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