aUna giornata di cattiva forma può capitare a tutti. Giulio Andreotti ha più di 90 anni e ieri sera in tv si è fatto sfuggire un’infelice battuta, riguardo Giorgio Ambrosoli ucciso da un sicario di Michele Sindona: «Beh se l’è cercata ». Poi il senatore a vita ha detto di essere stato frainteso. Tutto qua? Un corno, con il dovuto rispetto. C’è una generazione di mezzo che negli anni di Sindona e di Calabresi e del terrorismo era poco più che bambina. C’è una generazione nuova che negli stessi anni, ancora non c’era. Insomma c’è una larga parte dell’Italia a cui stanno raccontando i fasti dell’epoca che fu, in contrapposizione alla volgarità di quella che è. C’è una larga parte dell’Italia in cui le scomposte sciatterie dell’attuale classe politica vengono raccontate come una testimonianza del nostro imbarbarimento civile. E c’è una generazione che quegli anni l’ha vissuta e che forse tende a dimenticare o perdonare, grazie all’ovatta dei ricordi, le durezze di quei tempi. Quante volte abbiamo sentito frasi del tipo: la grave crisi di valori in cui ci troviamo, la perdita di ogni senso etico, la degenerazione della politica, la drammaticità dell’attuale situazione economica. Tutto vero per carità, ma tutto recitato con la presunzione dell’originalità. Del fenomeno nuovo, che si è appena affacciato o al massimo del processo degenerativo che si sta compiendo. Non esiste un prima? Esiste forse un paradiso perduto nella nostra recente storia repubblicana? Solo qualche nostalgico può ritenerlo. O qualcuno che, per non fare i conti con la propria età, sotterra il buio e il tragico che i suoi ricordi collettivi dovrebbero accompagnare. Viene quasi da essere indulgenti con i nostri tempi, i nostri crimini e le nostre cadute se solo leggiamo cosa accadeva da queste parti solo qualche lustro fa. Abbiamo assistito nei giorni scorsi ad un regista del passato, Michele Placido, che per vendere due biglietti in più ha sostenuto la seguente magnifica tesi: è più innocente il bandito di ieri (Vallanzasca con i suoi omicidi) che la classe parlamentare di oggi. Indugiando e accarezzando esattamente le stesse corde dei nostalgici (forse tra i pochi che ancora vanno a vedere i suoi film): il criminale del passato è meglio del sospettato, purché politico, del presente. Così per sfregio. Utilizzando proprio quel meccanismo di rimozione della nostra storia per cui un omicida è comunque meglio del peggior politico. E non il contrario come la ragionevolezza di un bambino di 4 anni richiederebbe. Ieri Andreotti, frainteso o meno che sia, e la sua battutaccia ci hanno magicamente riportato ai suoi compromessi. Ci siamo immersi in quell’aria putrida del cinismo repubblicano. In quell’ambiente opaco in cui le responsabilità venivano condivise e nascoste. Il senatore a vita ci ha riportato nel democristianismo, in cui Ambrosoli (liberale, monarchico e gran Borghese) non sguazzava. In quella pesante coltre di omertà per cui si poteva essere uccisi per strada come un cane, con la muta complicità di un establishment a cui semplicemente dell’accaduto fregava niente.
Certo le puttane non finivano sui giornali, la droga si sniffava in gran segreto, i quattrini si rubavano in lirette inflazionate, ma la sostanza della prima Repubblica non era quella di un paradiso in terra. Era la sostanza di una classe politica bloccata, condannata all’andreottismo e alle sue degenerazioni dal muro di Berlino. Toccherebbe ricordarlo, almeno ogni tanto, quando giudichiamo la nostra classe politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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