«In questi giorni mi giungono voci insistenti su un mio ricovero per aggravamento di salute. Capisco che molti attendono un mio passaggio a “miglior vita”, ma io non ho... fretta e ringrazio tutti coloro ai quali sta a cuore la mia salute e in particolare il Signore per l’ulteriore... proroga ».Così«parlò»Giulio Andreotti a Dagospia e d’improvviso nella politica italiana, dove invece di salutarsi ci si dà dello stronzo, è tornato per un momento il profumo di un tempo ormai passato, gozzaniano quasi per le sue «buone cose di pessimo gusto»...
A gennaio di quest’anno Andreotti ha compiuto novantadue anni, da tempo non appare più in pubblico. La Sfinge, Belzebù, la Volpe, il Gobbo, la Salamandra, il Papa Nero, il Divo Giulio sono solo alcune delle definizioni che l’hanno accompagnato per il mezzo secolo di storia patria che lo ha visto protagonista. L’immagine di lui che si è incisa nella mente degli italiani è stata quella di un potere inafferrabile e astuto, silenzioso e attento, moralmente cinico, ovvero con un’etica particolare in cui si mischia lo spirito di una romanità popolare e clericale, la consapevolezza che siamo tutti peccatori e che quindi non ci si deve meravigliare di nulla...
«Il mio film preferito è Il dottor Jeckyll e Mr Hyde » ha detto una volta e più che un motto di spirito è la chiave di volta di un modo di essere e di pensare, quello che poi ha reso per decenni la Democrazia cristiana un potere immarcescibile, pervasivo eppure quasi evanescente, di cui non si riusciva mai a cogliere il nucleo duro, l’essenzavera. Francamente non ne rimpiangiamo la scomparsa, ma in quelli come Andreotti è sempre rimasta l’eco di un Paese che si ricordava di essere stato povero e si vergognava di apparire sbracato.
Il miglior giudizio politico su di lui l’ha dato una donna, e per giunta straniera, Margaret Thatcher, e vale la pena riportarlo per intero: «Sembra avesse una reale avversione per i princìpi, anzi la profonda convinzione che un uomo di princìpi fosse condannato a essere ridicolo. Vedeva la politica come un generale del XVIII secolo vedeva la guerra: un vasto e complesso scenario di manovre di parata per eserciti che non si sarebbero mai impegnati in combattimento, ma avrebbero invece dichiarato vittoria, capitolazione o compromesso a seconda di ciò che dettava loro la forza apparente. Per poi collaborare nel vero e proprio affare di dividersi le spoglie».
Andreotti non si è mai atteggiato a statista: «La Storia è una cosa seria, io appartengo alla cronaca » ha detto una volta e questo in una classe politica, e in una nazione, va da sé, dove abbondano i millantatori, suona ancora più significativo. E ancora: «Non mi sono mai considerato particolarmente intelligente, ma certo, se mi guardo intorno, non è che mi veda circondato da geni». Pur non essendosi mai negato alla folla, pur godendo di grande popolarità, Andreotti ha sempre ispirato soggezione. Pur senza avere la fumosità cerimoniosa di un Aldo Moro, l’irruenza beffarda di un Fanfani, l’ascetismo di un Berlinguer o la fisicità sanguigna di un Craxi, da quel volto, da quelle orecchie e dall’ingobbimento delle spalle, dallo stesso incedere come se pattinasse, veniva un che di curiale e al tempo stesso di libertino, una compassione temperata, come dire, da una sottile derisione.
In una delle sue ultime apparizioni televisive, improvvisamente rimase immobile e senza replicare alle domande della conduttrice. Essendo l’immobilità sempre stata una sua caratteristica, lì per lì nessuno ci fece caso, e ci volle un po’ per rendersi conto che Andreotti non era più compos sui . Venne data la pubblicità, la trasmissione riprese senza di lui e poi, di lì a qualche minuto, il Divo Giulio rientrò in scena per scusarsi dell’imprevisto e rassicurare sulle sue condizioni di salute. Lo fece con la consueta impassibilità e allora ci venne il dubbio che, trasportato per un momento nell’aldilà, avesse fatto a tempo a dire a chi di dovere che preferiva ancora «tirare a campare piuttosto che tirare le cuoia».
Ha scritto Indro Montanelli che quando nel
dopoguerra Andreotti accompagnava in chiesa il suo maestro De Gasperi, mentre quest’ultimo parlava con Dio lui parlava con il prete. L’impressione è che in seguito con «il principale» si sia instaurato un colloquio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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