
La poesia è un tentativo di , di mettere ordine nel caos, di radicare il senso laddove tutto pare in dissolvenza. , la raccolta poetica di , pubblicata da , appare fin dal titolo come una dichiarazione di intenti: un’affermazione identitaria che è insieme . La foresta è il simbolo di una trasformazione necessaria, di un’esistenza che non si accontenta di essere arbusto isolato, ma che aspira a farsi tessuto vivente, parte di un tutto che respira, cresce e si rigenera. Marri costruisce la sua poetica come un dialogo serrato con una natura che sa farsi . Il paesaggio e le sue metamorfosi si fanno specchio di un’identità in cerca di sé: il rapporto tra parola e natura, tra linguaggio e silenzio, è dunque il centro nevralgico di questa raccolta. Scrivere è l’equivalente del , un atto di appartenenza al mondo che si oppone alla frammentazione dell’essere. In un’epoca in cui il tempo si consuma in istanti smaterializzati, questi versi affermano il valore della lentezza, della sedimentazione. Le poesie di Marri non seguono una linearità cronologica, ma obbediscono alla logica dell’ , dove il passato e il futuro si intrecciano, e il tempo si piega in frammenti che si rincorrono. Fin dalle prime pagine, il lettore è immerso in una , un territorio di passaggio tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere, in cui la natura assume il ruolo di testimone e custode. Il è il grande protagonista della raccolta. Il suo scorrere è un processo continuo di erosione e sedimentazione, laddove la memoria si sovrappone all’attimo presente e dà luogo a una poesia che non si limita a descrivere, ma tenta di catturare l’ineffabile. Le stagioni, le mutazioni del paesaggio, la luce che sfiora e si ritrae: ogni immagine naturale è una , del transitorio che tuttavia resiste nel ricordo e nella parola. La foresta, figura centrale della raccolta, è un vero e proprio stato dell’essere. Essa rappresenta la , tra solitudine e appartenenza. L’identità della voce poetica si disfa per ricomporsi, frammentata come le foglie nel vento, ma destinata a intrecciarsi con la totalità del reale. La poesia di Marri si muove su un crinale sottile tra visione e tattilità, tra simbolismo e concretezza sensoriale. Il suo è un linguaggio che incide, plasma e stratifica immagini che oscillano tra il reale e l’onirico, il paesaggio e l’introspezione. L’uso della metafora è centrale nella raccolta e si sviluppa attorno alla dialettica tra dissoluzione e rinascita. Nella poesia , ad esempio, l’autrice scrive: "Di luce che si scioglie nel fuoco siete frammento / e scivola nella terra e nel muschio." Qui la luce diventa materia in mutazione, un elemento che si consuma e si rigenera, mentre voca il ciclo continuo della vita e della memoria. La poetica di Marri si nutre di un che richiama i grandi archetipi naturali – il vento, la foresta, il mare – ma senza perdere mai il contatto con il dato esperienziale, come nella struggente , in cui la perdita si traduce in immagine concreta: "Mi hai strappato un pezzo / come strappassi una lettera d’addio." L’andamento musicale dei versi è altrettanto significativo: la struttura ritmica, spesso cadenzata da pause e sospensioni, amplifica il senso di attesa e precarietà. In , il verso breve e spezzato riproduce il senso di un lamento malinconico: "Maledetto Ottobre / che mi porti tutti i dolori, / che mi fasci il capo e mi mordi gli arti..." Così la poesia di Marri si fa canto e respiro, oscillando tra la visione e il corpo, tra il mito e la terra, tra il sussurro e il grido. Le colline ondulate della , con i loro vigneti illuminati da una luce mutevole, diventano il tessuto connettivo della poetica di Marri, in cui natura e anima si riflettono l’una nell’altra. È un ambiente che si fa specchio degli stati d’animo, trasfigurando il paesaggio in un orizzonte emotivo e filosofico. L’alternanza tra e è una delle cifre stilistiche della raccolta. La natura è spesso descritta nella sua immobilità apparente, salvo poi rivelare la propria incessante trasformazione. In , ad esempio, l’immagine del faggio solitario sembra cristallizzare il tempo: "Pare una foto perduta, / un istante svanito / come un sospiro di nebbia salire / ed evaporano memorie." Ma altrove, nel vento e nel mare, emerge la dimensione dinamica, la sensazione di un mutamento incessante che accompagna il fluire dell’esistenza. In , invece, il movimento diventa espressione di una libertà desiderata: "Se io fossi elemento, / sarei vento / nel modular il suo canto tra il riso e il pianto." La foresta è qui molto più di un semplice spazio naturale: è un organismo vivo, un’entità in crescita, capace di accogliere il dolore e trasformarlo in resistenza. Il verso "Poi mi radicherò come faggio" sancisce la volontà di una fusione totale con il mondo naturale, un anelito a farsi parte di un ciclo più grande, dove la dissoluzione si tramuta in rigenerazione. Così la poesia di Marri si fa , componendo un canto in cui il paesaggio è tanto una dimora quanto un destino. È impossibile non cogliere l’eco leopardiana nel modo in cui il paesaggio naturale diviene : l’immobilità delle colline e il loro respiro eterno ricordano la quiete dopo la tempesta, così come la percezione della piccolezza dell’uomo al cospetto della natura richiama il pensiero cosmico del "Canto notturno di un pastore errante dell’Asia". Allo stesso tempo, si avverte un’influenza pascoliana nella capacità di cogliere – “E mentre la merla attende / sui comignoli che il focolar divampi” – per trasformarli in epifanie liriche. Il simbolismo francese si fa sentire nelle immagini rarefatte e nella musicalità dei versi, che spesso riecheggiano l’evanescenza baudelairiana o la tensione visionaria di Rimbaud. Marri non si limita a raccogliere suggestioni letterarie, ma le ricompone in una . è un’esperienza estetica e intellettuale che restituisce al lettore una visione del mondo in cui l’individuo e la natura si intrecciano in un unico respiro. costruisce un percorso che è allo stesso tempo un cammino interiore e un’immersione nel paesaggio, un’odissea poetica che ci invita a riconoscerci nelle metamorfosi del vento, della luce, degli alberi. La foresta diventa allora il luogo di un’identità che non è mai statica, ma sempre in divenire. L’effetto che questa raccolta produce non è univoco: nella misura in cui riconduce l’essere umano a un’armonia più ampia, quando mostra l’inevitabilità della perdita e il carattere effimero di ogni cosa. È proprio in questa tensione tra fragilità e permanenza che risiede la sua forza. In un’epoca segnata dalla disgregazione e dall’incertezza, la poesia di Marri ricorda che , e che l’unico modo per resistere al tempo è accettarne il flusso.
Sarò foresta non è un manifesto, ma un seme: chi legge non ne esce uguale a prima, perché qualcosa, nel profondo, ha già iniziato a mettere radici.
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