Ogni generazione partorisce giovani insoddisfatti e, a guardarla superficialmente, anche la produzione artistica della Confraternita inglese dei Preraffaelliti, un manipolo di ragazzi tra i 19 e i 23 anni, di famiglia borghese, stanchi dell’accademia di sir Joshua Reynolds, avrebbe potuto essere una mera reazione critica, una parentesi fugace. E invece siamo tutti ancora qui a fare i conti con l’immaginario visivo che quei giovani seppero creare, a metà degli anni Quaranta dell’Ottocento, a Londra.
«Il Preraffaellismo non si è ancora estinto», dice Cristina Acidini che, con Elisabeth Prettejohn e Peter Trippi, sotto la direzione di Gianfranco Brunelli, ha curato «Preraffaelliti. Rinascimento moderno» (fino al 30 giugno), trecentoventi e più opere tra dipinti, sculture, disegni, stampe, mobili, ceramiche, tessuti, manoscritti, gioielli (c’è persino un pianoforte) al Museo Civico San Domenico di Forlì. Tre generazioni di artisti inglesi, e non solo inglesi, tutti associati al movimento Preraffaellita e le opere degli “old masters”, gli antichi maestri italiani che li hanno ispirati, da Beato Angelico a Filippo Lippi, da Michelangelo al Mantegna. Nella prima sala dell’esposizione troviamo, uno in fila all’altro, Pallade e Centauro del Botticelli dagli Uffizi, Il compianto sul Cristo morto di Beato Angelico dal Museo di San Marco di Firenze, la Madonna in trono di Cimabue dalla Basilica di Santa Maria dei Servi di Bologna, e ceramiche di Della Robbia, una Crocifissione di Bernardo Daddi dal Museo di Arezzo, le Esequie di San Gerolamo di Filippo Lippi dal Museo dell’Opera di Prato e, nell’abside, gli impressionati arazzi sul tema del Santo Graal firmati da Edward Burne-Jones, William Morris, John Henry Dearle, prestito di una collezione privata. «I Preraffaelliti recuperarono stili e temi dell’arte italiana antica ma, a loro volta, stimolarono uno sguardo nuovo verso essa», commenta Elisabeth Prettejohn. «Vietato dire che i Preraffaelliti non amassero Raffaello: lo apprezzavano, ma ne rifuggivano i seguaci. Sbagliato anche pensare che fu un movimento maschile: peculiarità di questa mostra è l’attenzione alle importanti figure femminili che animarono la Confraternita», aggiunge Peter Trippi.
Nella mostra (catalogo Dario Cimorelli editore), troviamo il revival gotico di William Dyce e John Rogers Herbett e, al primo piano, le opere capitali di John Everett Millais e Edward Burne-Jones, la straordinaria sala dedicata alla star, quel Dante Gabriel Rossetti, figlio di un dantista italiano in esilio a Londra, che ha fissato su tela l’amore come perdita e rimpianto e consolazione.
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