Luca Beatrice, un uomo sempre in cerca della bellezza. Tanto raffinato da adorare la cultura pop

Era un finto cinico e un vero generoso. Anche con gli amici

Luca Beatrice, un uomo sempre in cerca della bellezza. Tanto raffinato da adorare la cultura pop
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Tutto troppo presto, tutto troppo veloce.

È successo tutto proprio come era lui. Troppo.

Troppo simpatico, troppo polemico- più per posa che per convinzione - troppo curioso del mondo e delle cose, troppo tifoso, troppo goloso, troppo bravo a insegnare, a scrivere, a raccontare l’arte. Titolo del suo libro più bello e azzeccato: Da che arte stai?

Lui, dalla sua. Era fieramente di destra, e se gliene chiedevano conto, si spostava ancora più a destra. Perché amava la provocazione, perché era intelligente, perché era ironico. Troppo sottilmente ironico.

Finto cinico, vero generoso, divorava ogni cosa: libri, film, giornali, mostre, musica, politica, cibo. Potevi essere in qualsiasi posto, poteva essere qualsiasi ora, potevi avere qualsiasi impegno, ma se diceva «Quando si mangia?», allora bisognava sedersi e mangiare.

Per il resto era sempre in piedi: di una calma assoluta, era una macchina da guerra. Quante cose hai fatto? Anni di ore di lezione, chilometri di mostre curate e visitate, scrivevi un pezzo al giorno per dieci giornali, incontravi mille persone, parlavi con tutti, sapevi di tutto.
Quante cose hai fatto Luca. E quante cose avresti potuto e dovuto fare.

Una volta gli feci una delle mie domande, non si sa se più stupide o fuori luogo: «Ma tu: sei più orgoglioso di avere curato una Biennale odi essere juventino?». Lui si girò di scatto, si tolse gli occhiali, mi guardò a brutto muso nascondendo il sorriso sotto la barba e mi disse: «Ma che cazzo dici? La Juve naturalmente».

La Juve, naturalmente. E poi tutto il resto.

Tre famiglie, due ex mogli, poi Elisa, la sua donna più bella - sei suoceri, «credo sia un record» diceva e quattro figli. Ai quali ha dato tutto, persino più che all’arte.

Gli piaceva piacere e piaceva a tutti.

Cose che non piacevano a Luca Beatrice. Gli snobismi. La sciatteria. L’arte diffusa. Il già visto e stravisto. Dover aspettare. I romanzetti italiani pretenziosi. Le finte femministe. I veri cafoni. Le vacanze. Camminare. Il rumore dell’aspirapolvere. Le vie di mezzo. La solitudine. Perdere le finali di Champions. Perdere in generale. E in particolare perdere tempo.

Cose che piacevano a Luca Beatrice. Le Harley-Davidson, ma anche la sua Royal Enfield. Easy rider e il mito della motocicletta come arte.
Fare arrabbiare gli intellettuali di sinistra. Tondelli. Le canzoni di Renato Zero. I paradossi. I tre di Piazza del Popolo: Schifano, Angeli, Festa.
Alexander McQueen. I dipinti pop di David Hockney. Gli anelli. Gli anni Ottanta. Anselm Kiefer. I film di Sergio Leone. E sopratutto l’idea che cultura e intrattenimento, pop e impegno, possano convivere benissimo.

E poi gli piacevano gli amici.

Un’estate eravamo in vacanza con le famiglie.

Trascorrevamo tutte le giornate insieme. Il giorno dopo che sono partito ha detto a sua moglie: «Chiamo Gigi». «Ma se è partito ieri!?». «Non si può stare una giornata senza Mascheroni», rispose.

Figurati, adesso, una vita senza di te.

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