Era probabilmente inevitabile. Con tutto questo parlare di crisi largomento che con maggiore frequenza irrompe nelle conversazioni tra le persone adulte è il lavoro: che si ha, che si cerca di conquistare, che si è costretti a lasciare, che ci viene sottratto. Che ci permette di vivere. Un tema sul quale si interrogano sei scrittori (Articolo 1. Racconti sul lavoro di Camilleri, Cornia, Pariani, Rea, Recami e Stassi - Sellerio editore) che però rifuggono i cupi scenari condizionati dalle paure e dallindecifrabile vuoto del futuro, le storie di precariato, lo sfruttamento. Così come si tengono lontani dalla glorificazione delliniziativa individuale e da esemplari vicende a lieto fine. Preferiscono parlare del lavoro come prima sostanza umana, come arte dell«homo faber». Sei storie che guardano alla condizione umana e non ai grandi temi delleconomia e della produzione.
Pagina dopo pagina sfilano personaggi come Tano Cumbo di Andrea Camilleri, disorientato a causa della chiusura della «flabbica»; il sedicenne apprendista di Ugo Cornia che ha lunico desiderio di comprarsi il motorino; i contadini di Laura Pariani che trascorrono i pomeriggi invernali davanti a un bicchiere dando fondo ai ricordi; il grecista in pensione di cui Ermanno Rea racconta lamicizia con un emigrato polacco; limpiegata delle poste tratteggiata con ironia da Francesco Recami; il malinconico pescatore di tonni di Fabio Stassi. Storie di persone in cui il lavoro è un complemento indispensabile e necessario.
Sembrano davvero lontani i tempi - fine del secolo scorso - in cui il libro di Jeremy Rifkin sulla Fine del lavoro sollevava accesi dibattiti fra governi e sindacati del mondo occidentale teorizzando che con il nuovo millennio milioni dindividui si sarebbero affacciati per la prima volta sul mercato del lavoro per ritrovarsi senza possibilità di occupazione, vittime di uninnovazione tecnologica in grado di sostituire sempre più velocemente il lavoro umano con le macchine in quasi tutti i settori e i comparti delleconomia globale.
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