Tra i fenomeni di maggior moda editoriale, negli ultimi anni si registra una impennata di romanzi «però documentati come saggi». Siamo un passo oltre ai «romanzi che si leggono come i saggi» di qualche tempo fa. Nella quasi totalità dei casi, si tratta di dare al lettore una impressione di autorevolezza, mettendosi al riparo dagli eventuali errori con la scusa che tanto è finzione. Carlo Vecce inaugura una nuova e più seria tendenza. C'è il romanzo, Il sorriso di Caterina, fondato su nuovi documenti. Seguirà una biografia di Leonardo che presenta gli stessi documenti alla comunità scientifica. È una operazione ben pensata. Naturalmente il diavolo è sempre dietro l'angolo. Infatti, i documenti ci dicono che Caterina, la madre di Leonardo da Vinci, era una schiava circassa. Il romanzo aggiunge che Caterina, nelle sue terre d'origine, era una principessa: ma questa è una invenzione (dichiarata) di Vecce. Ci vuole un attimo per confondersi: e infatti ieri i siti e le agenzie mescolavano realtà e finzione, facendo diventare Caterina una ex principessa caduta in schiavitù. Piccolo incidente, subito corretto. C'è però un'altra cosa da dire. Non ci pare che la storia di Caterina abbia bisogno di essere attualizzata. Invece, in conferenza stampa, ma anche negli apparati che accompagnano il romanzo, si sente il bisogno di accostare Caterina alle sue «sorelle che muoiono nel mare». Si trova sempre qualche gonzo pronto a cavalcare una riga di comunicato. Così un omaggio è scambiato per il cuore del libro, che all'improvviso diventa la storia di una migrante straniera. La pattumiera dei social è già piena di riflessioni su questo tema. Aspettiamo solo il principe o la principessa dei gonzi: ci dirà che la storia del Rinascimento va riscritta in questa chiave.
Onestamente, la morte dei migranti in mare è un insulto contro l'umanità e contro Dio, per chi ci crede, e sono ripugnanti le ambiguità su chi va salvato, ma voler ricondurre tutto a questa tragedia, con colossali forzature, altrettanto onestamente, non ci sembra una forma di rispetto verso le vittime, che hanno diritto a una propria storia e non a quella della (ehm) principessa del Caucaso.
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