- Antonio Di Pietro, uno che di rapporti tra magistratura, politica e giornali ne sa a bizzeffe, sgancia la bomba: "Solidarietà ad Arianna Meloni, è finita nel tritacarne mediatico-giudiziario proprio come me". E ancora: "Arianna Meloni va giudicata per quel che è lei, non perché è la sorella del presidente del Consiglio. Viene messa nell'occhio del ciclone per arrivare a Giorgia Meloni ed è una criminalizzazione ingiustificata”. Ma soprattutto, Di Pietro ritiene che "ad indagare potrebbe non essere la magistratura, ma qualche altra entità come spezzoni dei servizi segreti, come è capitato a me”. Do you remember il caso Striano?
- A leggere i giornali italiani oggi sulla convention democratica si capiscono due cose. Primo: tutti i cronisti nostrani che lavorano per i quotidiani più importanti fanno sommessamente il tifo per Kamala e non si preoccupano di non farlo notare. Secondo: trapela l’ammirazione per il sistema politico americano, nonostante sia presidenzialista e non proporzionale, tutte caratteristiche che quando vengono proposte qui in Italia via riforma costituzionale finiscono con l’essere descritte come la porta verso la dittatura. Mah.
- Sul naufragio di Palermo, in molti - soprattutto sui social - hanno avanzato il seguente ragionamento. “Ma il naufragio di un gommone di migranti vale quanto il naufragio di un veliero di ricchi?”. Come a dire: di questo se parla tanto, dei poveracci sui barconi no. Un ragionamento falso, oltre che patetico. Primo: una notizia per definizione è un evento che si distingue da tutti gli altri. Non è un caso se "a fare notizia" sono i grandi naufragi con centinaia di migranti a bordo e non i piccoli in cui muoiono cinque o sei persone. Sarà cinico, ma è la legge della notiziabilità. Funziona così da secoli. Che un superyacht si inabissi davanti alle coste siciliane per una tempesta improvvisa è uno di quegli eventi che accade una volta nella vita, come la Concordia o il Titanic. Ecco spiegato il motivo di tanta attenzione. Chi usa la tragedia con quel fare malevolo da rivincita classista ("anche i ricchi annegano") non vuole difendere i migranti, poveri cristi, ma esprime solo invidia sociale. Forse, un po', anche se non l'ammettono, godono per tutto quello champagne inabissatosi col Bayesian.
- Abbiamo criticato Mosca per aver condannato una giovane donna che aveva donato 50 euro ad organizzazioni umanitarie ucraine. Giusto: la libertà prima di tutto. Non capisco allora perché non si debba applicare lo stesso ragionamento al parlamento ucraino che ha messo fuori legge la Chiesa Ortodossa rimasta legata al patriarcato di Mosca, imponendo ai fedeli di aderire a quella di Kiev. Se riteniamo la libertà di culto un valore intoccabile, dovremmo difenderla anche quando a limitarla sono i nostri alleati.
- Circa 2.000 persone hanno manifestato a Jena contro il partito dell'ultradestra tedesca dell'AfD e hanno impedito l'intervento del leader AfD della Turingia, Bjorn Hoeck. Alla fine il comizio è stato annullato. Ora, l’Afd ha tutte le carte in regola per essere un movimento criticabile aspramente. Ma in democrazia le idee si combattono con altre idee, non impedendo a chicchessia di tenere un corteo. A quanto pare il virus sinistro di chiudere la bocca agli avversari, organizzando contro-manifestazioni, non è un’esclusiva italiana.
- Rifondazione Comunista oggi si lamenta per un mio articolo, pubblicato su Nicolaporro.it, in cui giocavo scherzosamente su una doppia raccolta di firme proposta dall’Anpi e da CasaPound. I primi vogliono sciogliere i “fascisti del terzo millennio”, che a loro volta propongono di tagliare i fondi ai nipotini dei partigiani. Lo trovo stupendo. E ancor più divertente il fatto che Rifondazione pensi che io volessi sponsorizzare una “palese intimidazione” contro l’Associazione partigiana. Allora, carissimi. Mettiamoci d’accordo. Finché CasaPound non viene dichiarata fuori legge, e non succederà mai, fatevene una ragione: ha il diritto di manifestare dove vuole e di raccogliere le firme che preferisce. Dunque l’idea di tagliare i fondi all’Anpi può essere discutibile, ma non rientra nel novero delle “intimidazioni”, trattandosi peraltro di una banale reazione ad un’operazione censoria iniziata dai partigiani. Che poi chi scrive è da tempo che si chiede per quale motivo i fondi statali debbano finire a chi ormai si occupa più di politica che di memoria storica.
- Repubblica scrive: "Ilaria Salis è tornata in carcere, ma la destra non esulti: questo non è l’incipit della notizia che vorrebbe leggere”. Ma dove? Ma chi? Chi l’avrebbe detto? Della Salis abbiamo sempre criticato il curriculum, le scelte politiche, le occupazioni abusive e compagnia cantante. Nessuno, al netto degli urlatori dei social, attivi da una parte come dall’altra, ha mai sognato di volerla rivedere in dietro le sbarre. Mai. Un attacco così generalizzante e poco aderente alla realtà, l’avessimo scritto noi, ci avrebbe procurato tre procedimenti disciplinari all’Ordine.
- Ilaria Salis va nel carcere di San Vittore e ci dà ragione. O meglio: dà ragione a chi sosteneva che la campagna condotta contro “le galere del regime di Budapest” era sacrosanta ma miope, dettata più dall’avversione contro Orban che dall’analisi dei fatti. Sia chiaro: è un bene che la neodeputata sia potuta tornare in Italia. Ed è stato ingiusto vederla legata con i ceppi alle caviglie in Tribunale. Però, facevamo notare, per settimane abbiamo disegnato l’orrore delle carceri ungheresi, le privazioni e i diritti negati, dimenticando che in Italia la situazione delle patrie galere è simile. Se non peggiore. Il Belpaese negli anni è stato condannato dalla Cedu ben più dell’Ungheria per violazioni varie: tortura, ingiusto processo, trattamento inumano ed eccessiva durata dei processi. Oggi Ilaria ha scoperto che avevamo ragione. Chi ha accusato Orban di ogni nefandezza ha puntato il dito contro la pagliuzza ungherese dimenticando però la trave nell’occhio italiano.
- Ilaria Salis propone: “Bisogna limitare l’uso del carcere per chi è in attesa di giudizio”. Giusto.
- Poi aggiunge: “Occorre depenalizzare i piccoli reati contro il patrimonio compiuti per necessità, chi ruba nei supermercati perché ha fame e non ha lavoro, chi occupa una casa perché non può permettersi un tetto e gli enti che gestiscono l’edilizia popolare non assegnano le abitazioni sfitte”. In pratica, appena eletta, Ilaria Salis propone di depenalizzare un reato che lei stessa ha ammesso di aver sostenuto. Ricordate? “Lo confesso! Ho militato nei movimenti per la casa”. E ancora: “Chi entra in una casa disabitata prende senza togliere a nessuno, se non al degrado, al racket e ai palazzinari”. Urleranno alle proproste di legge ad personam?
- Infine, la ciliegina sulla torta. Allora: denunciare le condizioni indegne delle carceri è sacrosanto; indignarsi per i suicidi è giustissimo; chiedere di ridurre il ricorso alla carcerazione preventiva altrettanto; ma immaginare una società senza galera è fantascientifico, oltre che sciocco.
“Io credo che si debba andare verso una società che superi il carcere…”, dice Ilaria Salis: “L’obiettivo deve essere il reinserimento nella società, invece di concentrare un sacco di persone in un unico luogo dove anche se entri pulito esci criminale”. Se davvero intende eliminare le celle, lo vada a dire ai familiari di vittime di omicidio, al malcapitato a cui un ladro ha portato via tutto, ai poveracci truffati e alle vittime di stupro. E vediamo cosa ne pensano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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