Bloccanti della pubertà, il mito di progresso e i dubbi della scienza. Cosa può accadere in Italia

La decisione britannica riaccende i riflettori sui bloccanti della pubertà in relazione alla transizione di genere. Riflessioni nel mondo scientifico sono in corso anche nel nostro Paese. E i proVita si appellano al governo

Bloccanti della pubertà, il mito di progresso e i dubbi della scienza. Cosa può accadere in Italia
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Stop immediato ai bloccanti della pubertà usati nei centri che si occupano di disforia di genere. Il provvedimento adottato dal sistema sanitario britannico è destinato a far rumore anche nel nostro Paese, dove già il tema era in discussione. È chiaro infatti che un tale cambio di passo non possa che essere accompagnato da ulteriori riflessioni di carattere medico ed etico sulla corsa alla transizione di genere in tenera età. In Italia, del resto, proprio nei mesi scorsi era scoppiato il caso dell'ospedale Careggi di Firenze, nel quale il ministero della Salute aveva inviato i propri ispettori per verificare se fosse stato effettuato il percorso preliminare indicato di psicoterapia prima della somministrazione del farmaco triptorelina, in grado di in grado di agire come inibitore della produzione di ormoni.

La vicenda era nata da una denuncia del senatore forzista Maurizio Gasparri in riferimento a una presunta superficialità con la quale, in alcuni casi, sarebbero stati effettuati la diagnosi e il trattamento della disforia nei bambini. Il parlamentare azzurro aveva in sostanza accusato l'ospedale toscano di non effettuare valutazioni abbastanza approfondite sui giovanissimi intenzionati ad avviare un percorso di cambio di sesso. Sempre secondo il senatore, ci sarebbero stati casi in cui la triptorelina sarebbe stata somministrata con eccessiva leggerezza. Secondo quanto riportato dall'Ansa a fine gennaio scorso, i primi audit degli esperti ministeriali avrebbero evidenziato che "non in tutti i casi di disforia di genere pediatrici trattati all'ospedale Careggi di Firenze sarebbe stato effettuato il percorso preliminare indicato di psicoterapia prima della somministrazione del farmaco triptorelina".

Ora la presa di posizione della Gran Bretagna riporta il tema d'attualità, anche perché la decisione d'oltremanica fa riferimento alla mancanza di elementi di sicurezza e di efficacia per i suddetti farmaci somministrati ai minori. Le motivazioni sono dunque di carattere medico, basate su approfondimenti e studi che sembrerebbero smentire gli eccessivi entusiasmi di chi invece celebra il blocco della pubertà come una forma di tutela per i giovanissimi ancora indecisi sulla loro identità di genere. Fermando la pubertà con un bloccante transitorio e reversibile - sostengono infatti i promotori della pratica - gli adolescenti incerti sulla transizione hanno il tempo di fare scelte più ponderate.

Ma è bene precisare che le valutazioni del mondo scientifico sono ancora in corso e che non tutti vedono l'utilizzo dei bloccanti sui minori come una conquista in senso assoluto. Peraltro in Italia a esprimere preoccupazione erano state anche alcune associazioni femministe, trans e lesbiche. "Ribadiamo la richiesta che, alla luce di ciò che sta avvenendo in diversi paesi europei, che hanno fermato la somministrazione, e messo in discussione il semplice consenso affermativo dei minori, sia vietata la somministrazione, anche in una logica di cautela e tutela dei minori, dei farmaci bloccanti", avevano scritto in una nota, appellandosi al ministero della Salute, all'Aifa, al Comitato Etico nazionale, per chiedere "un controllo puntuale su tutte le strutture che operano in questo campo".

Ora, dopo la decisione britannica, ad alzare la voce sull'argomento è la onlus Pro Vita & Famiglia con un appello esplicito. "Ci attendiamo che anche il governo Italiano agisca urgentemente tamponando le due principali fonti di pericolo per bambini e adolescenti italiani: il far west nei centri per il trattamento della disforia di genere negli ospedali italiani, evidenziato dal caso Careggi, i quali non seguono sempre protocolli scientifici, e la diffusione illegale della 'carriera alias' nelle scuole, che rafforza negli adolescenti la pericolosa idea di essere 'nati nel corpo sbagliato', spingendoli a desiderare un fantomatico e impossibile 'cambio di sesso' tramite una sostanziale castrazione chimica", ha affermato il portavoce della onlus, Jacopo Coghe.

Di mezzo non c'è soltanto la - pur importante - questione delle discriminazioni da evitare e dell'identità di genere

da rispettare. C'è innanzitutto un tema di salute pubblica che richiede quantomeno un approccio oltremodo prudente, nell'interesse dei giovani pazienti. Scambiare la scienza con i falsi miti di progresso sarebbe un errore.

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