Ognuno di noi ha un proprio mito, un personaggio in grado di suscitarci emozione, ammirazione, stima, per qualcuno è uno sportivo, per altri un musicista e per altri uno scrittore, io per esempio di miti ne ho tanti, che spaziano su molti campi, ma di certo uno degli ambiti che mi appassiona di più è il mondo del food e di conseguenza alcuni tra i protagonisti della ristorazione, uno tra questi è lo chef stellato Davide Oldani. Classe 1967 Nato a Milano, allievo del celebre chef Gualtiero Marchesi e oggi detentore di due meritatissime stelle Michelin più la stella verde sulla sostenibilità. Sono andato a trovarlo nel suo bellissimo ristorante D’O, a San Pietro all’Olmo Di Cornaredo, dove mi ha accolto una sua assistente, Silvia, che da subito mi ha messo a mio agio con un bel sorriso e mi ha introdotto nel mondo Oldani, una realtà incredibile, dove estetica, gusto, perfezione, ricerca, si incontrano in uno spazio moderno tra opere d’arte, oggetti di design disegnati dallo chef, vetrate luminose sulla piazza della chiesa del paese e una cucina a vista meravigliosa. Finalmente arriva lo chef, non nego l’emozione associata alla felicità, ci si saluta, stretta di mano, due parole per accordarci dove fare l’intervista, ci si siede e inizio con la prima domanda:
Davide Oldani, Pop o Contemporaneo?
“Pop Contemporaneo. Essere Pop non vuol dire appartenere a un prima o un dopo, ma essere e rimanere sempre sul pezzo”
C’è qualche aneddoto che vuoi raccontarmi e che pensi sia stato il motore scatenante di ciò che sei diventato oggi?
“Di aneddoti ce ne sono tanti e tutti in qualche modo mi hanno portato fin qui con la passione che mi contraddistingue, credo che sia propria la somma tra passione, determinazione e voglia di imparare, che mi porta a vivere ogni giorno come un giorno nuovo, per me e per tutti coloro che collaborano con me, cioè tutto il mio team, in fondo pop vuol dire squadra, appartenenza a una maglia, tutto questo mi porta a essere ogni giorno motivato e voglioso di conoscere sempre cose nuove.”
Quando eri piccolo, ti aggiravi tra i fornelli di casa?
“No, devo dire che la cucina la vivevo come baratto con mio padre. Giocavo a calcio la domenica pomeriggio per cui l’accordo era di aiutare mamma a far qualcosa in casa per potermi guadagnare il pallone; quindi, l’aiutavo per ciò che c’era bisogno, in quel caso era in cucina. Era il senso di responsabilità che in fondo mi veniva insegnato, cioè il dovermi guadagnare quello che a me piaceva, giocare a calcio.”
Quanta mamma c’è oggi nella tua cucina e quando mangia da te cosa dice?
“Tanto, tanto amore per quello che faccio, me lo ha trasmesso lei. Oggi ha 93 anni, è in forma, grazie a Dio. Quando assaggia i miei piatti dice che sono inaspettati ma buoni. Per esempio, io faccio il risotto senza soffritto per cui l’ho fatto fare pure a lei e oggi lo fa come lo faccio io, quindi più leggero, senza quei sapori troppo forti e pesanti. Mia madre mi ha dato tanto, come la pazienza, l’attesa, la riflessione prima di far le cose, ingredienti che ho portato nel mio modo di lavorare.
La cipolla caramellata, uno dei tuoi piatti più popolari, è stata svecchiata, ha una nuova veste, me ne parli?
“La cipolla caramella come l’uomo, ha avuto bisogno di un evoluzione, era vent’anni che la facevo e se devo essere sincero dentro di me un po’ soffrivo nel dover fare sempre la stessa cosa allo stesso modo, per altro fare una stessa cosa per me è la cosa peggiore nella vita. La fame e la voglia di sperimentare sempre cose nuove e offrire sempre qualcosa di diverso ai miei ospiti mi porta ad evolvermi. Oggi è un piatto rinfrescato, alleggerito, elegante.
Tua moglie, è il tuo braccio destro, lavora dietro le quinte, è una parte importante del tuo lavoro, per cui ti faccio una domanda banale: per te vale il detto, dietro a un grande uomo c’è una grande donna?
“Personalmente questo detto l’ho abolito, perché che tu sia donna o uomo ognuno ha la propria identità. La forza sta nel fatto che due persone si amino anzitutto, che si riescano a capire, oltre a collaborare mettendo a disposizione il proprio talento. In un’attività come il D’O ci sono davvero tante cose da portare avanti oltre alla cucina, le pubbliche relazioni, la comunicazione, l’organizzazione, noi non abbiamo agenzie che seguono tutto il lavoro, lo facciamo internamente ed è una forza, perché c’è un filo diretto tra tutti i miei ragazzi e gli uffici che espandono una realtà nella sua verità ed essenza.
Tre aggettivi per descrivere il tuo percorso e la ricerca che ti hanno portato a ricevere due stelle Michelin.
“Eh, questo non lo so, tre aggettivi…sicuramente la costanza, la qualità, e la verità. Essere sempre coerenti tra ciò che si dice e ciò che poi si fa.” Credo che il successo arrivi perché lo fai succedere, non perché si è esposti mediaticamente, succedono delle cose che ti portano al successo. Noi qui al D’O, siamo curiosi sempre, abbiamo sempre voglia di innovazione e ricerca, lo facciamo per noi ma anche per i nostri ospiti, perché possano venire qui e avere la sensazione che ciò che facciamo è una dedica solo per loro, nello stesso istante in cui si siedono da noi. Tutto questo è parte del successo.
Ti lascio con questa ultima domanda: quale sarà la cucina del futuro di Davide Oldani?
“Sarà sempre di più una cucina leggera, sembra banale ma non lo è, perché la leggerezza abbinata al gusto non è la cosa più semplice da fare, perché noi tutti negli ultimi vent’anni, abbiamo iniziato a conoscere e apprezzare di più il cibo, a fare una selezione, a mangiare prodotti di qualità. Una volta era la quantità il parametro di giudizio oggi le cose sono un po’ cambiate per cui la qualità vince sulla quantità. Tutto questo vuol dire anche benessere, perché in fondo il cibo ci penetra, entra dentro il nostro corpo, tutto il resto è solo visivo, mentre il cibo è penetrativo. La mia cucina, quindi, sarà sempre di più proiettata alla leggerezza associata al gusto.
Abbiamo finito, ti ringrazio per questa bella chiacchierata.
“Abbiamo già finito?”
Purtroppo, si, quindi grazie e ciao. A presto.
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