"Lotto contro due pesi": così Rita Levi Montalcini vinse il premio Nobel

Ricercatrice, vincitrice di un premio Nobel e senatrice a vita, Rita Levi Montalcini ha rivoluzionato la medicina e la figura stessa della donna, sfidando gli schemi della società del tempo

"Lotto contro due pesi": così Rita Levi Montalcini vinse il premio Nobel

Tenace, coraggiosa e dalle straordinarie capacità scientifiche e umane, Rita Levi Montalcini ha rivoluzionato la medicina, in un percorso tutto al femminile. Dalle prime ricerche, fino al premio Nobel per la Medicina, dalla sua personale lotta femminista, fino alla creazione della Fondazione in aiuto delle donne africane, la sua storia è costellata da rivoluzioni sociali e scientifiche.

I primi anni

Rita nacque a Torino nel 1909, insieme alla gemella Paola, le ultime dei quattro figli del matematico Adamo Levi e della pittrice Adele Montalcini. Prima di loro, infatti, erano nati Gino e Anna. La sua famiglia era ebrea, ma i genitori avevano insegnato ai figli anche l'importanza della cultura, della laicità e del pensiero critico, ripetendo loro quanto fosse importante diventare liberi pensatori.

Fu anche questo tipo di educazione che spinse Rita Levi-Montalcini a intraprendere gli studi e la ricerca scientifica, nonostante in quegli anni la figura della donna fosse subordinata a quella dell'uomo, soprattutto in ambito lavorativo. La donna infatti secondo il pensiero comune dell'epoca avrebbe dovuto concentrarsi suoi suoi doveri di moglie e madre, mentre nel panorama lavorativo in generale, e scientifico in particolare, dominava la figura maschile.

Nonostante questo, nel 1930 si iscrisse all'Università di Torino e, parallelamente, entrò nella scuola medica dell'istologo Giuseppe Levi, dove iniziò a studiare il sistema nervoso che, per tutta la sua vita, fu al centro delle sue ricerche. Nel 1936 le venne conferita la laurea in Medicina e Chirurgia, con una votazione di 110 e lode. Nello stesso anno, la donna si iscrisse alla specialità di Psichiatria e Neurologia e, nel 1938 divenne assistente volontaria nella clinica di malattie nervose e mentali.

Le leggi razziali

Nel 1938 però l'approvazione delle leggi razziali in Italia cambiò drasticamente la vita della Montalcini, che venne estromessa dalla clinica e costretta a emigrare all'estero. La donna infatti si trasferì in Belgio, dove viveva già la sorella Anna con il marito e dove si era spostato anche il suo maestro Giuseppe Levi. Lì iniziò gli studi sul differenziamento del sistema nervoso. Ma dopo l'invasione del Belgio da parte dei Tedeschi, Rita dovette fare ritorno a Torino. Né la guerra, né le persecuzioni riuscirono però a fermare l'impegno di Rita nella scienza: la ricercatrice, pur di non fermare il suo lavoro, allestì un laboratorio nella sua camera da letto.

Nel 1940 tornò a Torino anche Giuseppe Levi, che si unì alla Levi Montalcini, diventando il suo primo (e unico) assistente. In quel laboratorio improvvisato, i due ricercatori volevano cercare di comprendere il ruolo di fattori ambientali e genetici nella differenziazione dei centri nervosi, per perfezionare le conoscenze umane sul sistema nervoso. Fu così che, in una camera da letto trasformata in un centro di ricerca, Rita e Giuseppe scoprirono un fenomeno i cui meccanismi sarebbero stati spiegati solamente trent'anni dopo: la morte di intere popolazioni nervose all'inizio del loro sviluppo.

Ma, mentre in quella stanzetta i due ricercatori continuavano i loro studi rivoluzionari, fuori imperversava la Seconda Guerra Mondiale. E il pesante bombardamento di Torino costrinse la famiglia di Rita ad abbandonare la propria casa, per rifugiarsi nelle campagne circostanti. Successivamente, quando nel 1943 le forze armate tedesche invasero l'Italia, i Levi-Montalcini furono costretti a scappare nuovamente verso il Sud, fino a Firenze, dove vissero nascosti per anni, per sfuggire alle deportazioni e all'Olocausto. Fu in quel periodo che Rita entrò in contatto con le forze partigiane e, quando gli Alleati liberarono Firenze, divenne medico del Quartier Generale anglo-americano.

Rita Levi Montalcini

Per anni, la vita di Rita Levi Montalcini fu caratterizzata dalla fuga, dalla clandestinità e dal costante rischio di essere deportata e uccisa. Ma, nonostante questo, anche durante la Seconda Guerra Mondiale, la donna non lasciò mai in secondo piano la ricerca e continuò gli studi iniziati negli anni Trenta: nulla avrebbe potuto distoglierla da questo. Una volta terminata la guerra, Rita tornò a Torino insieme alla famiglia e riprese gli studi accademici.

Il premio Nobel

Qualche tempo dopo, la Levi Montalcini venne invitata al Dipartimento di zoologia della Washington University di Saint Louis, per proseguire le ricerche che aveva avviato sul sistema nervoso. Convinta di restare negli Stati Uniti solamente per qualche mese, in realtà vi rimase per trent'anni, fino al 1977. Lì realizzò alcuni esperimenti fondamentali sui pulcini e sui polli, che la portarono a fare una scoperta sensazionale tra il 1951 e il 1952. La ricercatrice infatti scoprì la presenza di una proteina con un ruolo essenziale nella crescita e nel differenziamento delle cellule nervose. Più tardi, nel 1954, portò avanti lo studio, compiendo ulteriori analisi e sperimentazioni, insieme al biochimico Stanley Cohen, giungendo all'identificazione della proteina, che venne chiamata Nerve Growth Factor (Ngf).

Rita Levi Montalcini

L'Ngf quindi si dimostrava essenziale per la crescita e il mantenimento dei neuroni e importante anche per il suo ruolo nel sistema immunitario. La ricerca dei due scienziati è risultata poi di fondamentale importanza, oltre che per la comprensione della crescita delle cellule, anche per la comprensione e lo studio di malattie come il cancro, l'Alzheimer e il Parkinson. Nel 1986, questa scoperta valse a Rita Levi Montalcini e a Stanley Cohen il Premio Nobel per la Medicina, che rese la Montalcini la prima donna nel Mondo e l'unica italiana a vincere il prestigioso premio in ambito medico.

"La scoperta dell'Ngf - si legge nella motivazione del premio - all'inizio degli anni Cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e nei tessuti dell'organismo".

Nonostante i trent'anni passati negli Stati Uniti, Rita non perse mai il legame con il suo paese natale. Negli anni Sessanta infatti diresse il Centro di Ricerche di neurobiologia, creato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) presso l'Istituto Superiore di Sanità e, successivamente, diresse il Laboratorio di Biologia cellulare del Cnr.

All'inizio degli anni Ottanta fu nominata presidente dell'Associazione Italia Sclerosi Multipla: la sclerosi multipla è una patologia che, con le sue ricerche, Levi Montalcini ha contribuito a comprendere. Nel 1999 la scienziata venne nominata ambasciatrice della Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. Nel 2001, il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, nominò Rita Levi Montalcini senatrice a vita, "per aver illustrato la patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale".

Rita Levi Montalcini fu la prima donna a essere ammessa alla Pontificia accademia delle scienze e fu membro delle principali accademie scientifiche internazionali, come la statunitense National Academy of Sciences e la Royal Society. La ricercatrice da Nobel morì il 30 dicembre del 2012, a 103 anni, ottenendo anche il primato come prima vincitrice del Premio Nobel a raggiungere il secolo di età.

Una vita rivoluzionaria

Rita Levi Montalcini

Donna coraggiosa, determinata e brillante, Rita Levi Montalcini rappresenta una figura rivoluzionaria. In un'epoca in cui dominava la presenza maschile e la donna era spesso relegata all'attività di moglie e madre, la Montalcini agì in modo totalmente innovativo: non si sposò mai e non ebbe figli, dedicando la sua intera vita alla scienza. Non fu una decisione semplice per una donna che viveva, come dichiarò lei stessa, in una famiglia in cui era presente "quell'atmosfera patriarcale e restrittiva nei confronti della donna che caratterizzava quel periodo. In famiglia non c’erano tabù religiosi ma c’era una forte differenza di ruolo fra uomo e donna".

In quegli anni, in cui dominava ancora l'idea vittoriana della società, "essere donna voleva dire rinunciare a qualunque diritto", tanto da essere considerata"un oggetto di lusso, oppure un oggetto da distruggere". Ma la Montalcini rifiutò per tutta la vita questo schema, nonostante le reticenze del padre che "reputava difficile conciliare la vita di madre e di moglie, con una vita di lavoro. Era contrario, non lo accettava. Un giorno gli ho detto che non volevo diventare né moglie, né madre e gli chiesi il permesso di fare quello che volevo. Mi disse: 'Non ti approvo, ma non posso impedirtelo'".

Le mansioni a cui venivano relegate le donne ai tempi impedivano loro di accedere alla formazione, alla scienza e alla politica, rendendole certamente più svantaggiate rispetto agli uomini. Per questo, sottolineò Rita Levi Montalcini, "le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale". Ma proprio la forza e il coraggio derivate dalla necessità di combattere per i propri diritti rende le donne "la colonna vertebrale delle società".

L'attenzione della ricercatrice premio Nobel al ruolo della donna si mostrò anche nell'impegno sociale, che Rita Levi Montalcini portò avanti per tutta la sua vita. Nel 1991 istituì, insieme alla sorella gemella Paola, la Fondazione Rita Levi Montalcini, con l'obiettivo di sostenere le giovani donne dei Paesi africani, per permettere loro "di accedere a tutti i livelli di istruzione, da quella primaria fino a quella universitaria e post universitaria".

Dall'impegno scientifico, fino a quello sociale

e politico, la vita di Rita Levi Montalcini ha lasciato il segno nella medicina, ma anche nella società moderna e contemporanea, rappresentando un esempio di emancipazione e intelligenza fuori dal comune.

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