Essere consci delle nostre mancanze è indispensabile per godere delle nostre quattro ricchezze: libertà, fantasia, capacità, relazione

Ognuno può decidere se mettersi in gioco o rassegnarsi, perché determinante non è il contesto ma l'intenzione che segna la prospettiva, la condizione relativa ad ogni mossa, la determinazione interiore che stimola a ricostruire l'ordine vincendo la tendenza alla rassegnazione

Essere consci delle nostre mancanze è indispensabile per godere delle nostre quattro ricchezze: libertà, fantasia, capacità, relazione
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Da bambino mi divertivo con un gioco che chiamavamo «il quadrato magico». Si trattava di mettere in ordine i numeri spostando quindici caselle. Una mancava nella cornice. Da adulto mi vengono due considerazioni. La prima sulla dinamica: dal disordine si cercava l'ordine attraverso lo spostamento di elementi sbagliati che piano piano portavano a ritrovare la sequenza corretta. Non potevi disporli come volevi, ma era necessario intuire il percorso più efficace, che non sempre era quello che sembrava scontato o il più corto. Era necessario a volte fare mosse disorientanti che però acquistavano senso in una prospettiva a lungo raggio. Raggiunto lo scopo ci si divertiva a tornare al caos, sicuri di essere capaci poi di rimettere ordine. La complessità era una sfida e non causa di scoraggiamento.

Quando ci si confessa, davanti al prete o davanti allo specchio, ci si trova a dire: «È sempre lo stesso identico caos! Sono sempre le stesse cose che girano!». Come i numeri del quadrato magico. Arrendersi? Perché? Se il disordine è lo stesso, al suo interno tuttavia la combinazione dei numeri non è mai la medesima. Allo stesso modo succede nella vita, nella fede, nell'amore. Si pone qui la seconda considerazione. L'elemento necessario è il pezzo che non c'è. Senza quella mancanza il disordine sarebbe frustrantemente inamovibile o l'ordine sarebbe noiosamente blindato. Non ci sarebbe spazio per la libertà, per la fantasia, per la capacità, per la relazione. Spesso non ci rendiamo conto

dell'importanza dei nostri buchi che hanno il potere di smuovere la situazione consegnandoci l'autocoscienza e l'autostima di gestire la complessità senza finire complessati.

La cronaca in questi giorni parla di caos mondiale, di caos pericoloso, di caos preoccupante: guerre, crisi, alluvioni. È possibile leggere i box dei giornali come cornici bloccanti in cui sentirsi impotenti e disillusi. Ma siamo vittime o carnefici? Il disordine internazionale ha delle caselle che sono mosse dalle nostre dita. Siamo tutti belligeranti. Non lanciamo missili solo perché non li abbiamo, però usiamo tutte le armi a nostra disposizione per invadere spazi e assoggettare persone. Bombardiamo con parole, post, messaggi, commenti, atteggiamenti, urla, pressioni che colpiscono come missili distruggendo sentimenti, storie, progetti. Se non c'è pace nel piccolo, non ci sarà mai pace nel grande. Quel giochino per i bambini, allora, forse è una lezione per gli adulti.

Nel 1968, anno simbolico del cambiamento, Robert Kennedy commentava: «Alcuni uomini vedono le cose così come sono e si domandano: Perché? Io sogno cose che non sono mai state e mi domando: Perché no? Why not?! Il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta: non include la poesia e la bellezza dell'arte, non conteggia il nostro ingegno, né il nostro coraggio, la nostra saggezza, la nostra conoscenza, la nostra compassione. Ci dice tutto sull'America,

eccetto il motivo per cui siamo orgogliosi di essere americani». Più o meno nello stesso periodo, all'inizio degli anni Settanta, in un piccolo Stato montano nel cuore dell'Asia, il regno del Bhutan, il re Jigme Singye Wangchuck IV introduceva il Fil, l'indice di Felicità interna lorda. Questo Paese è uno dei più poveri dell'Asia, tuttavia è ritenuto il più felice del continente e l'ottavo nel mondo.

I numeri del gioco sono bloccati dal quadrato, come noi pensiamo che le nostre azioni siano condizionate da altro e da altri. In realtà i limiti sono i confini dell'area di un campo fruttuoso e fertile in cui spetta a ciascuno attuare una scelta valoriale. Ognuno può decidere se mettersi in gioco o rassegnarsi, perché determinante non è il contesto ma l'intenzione che segna la prospettiva, la condizione relativa ad ogni mossa, la determinazione interiore che stimola a ricostruire l'ordine vincendo la tendenza alla rassegnazione.

Un esame di coscienza, quindi, smuovendo i tasselli del proprio caos dentro il quadrato di limiti e condizionamenti, è ricerca del Fil - la felicità interna lorda - cominciando dalla domanda «why not?! perché no?» e magari finendo nell'esclamazione: «perché si!».

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