Il femminismo da social che non rispetta le donne

"Women in male fields" è il fenomeno con cui si appiattisce e banalizza il femminismo

Il femminismo da social che non rispetta le donne
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Sembra un giochetto all'apparenza innocuo, una presa in giro che rischia di passare per un'opera giusta se non del tutto sacrosanta, e da più parti definita perfino liberatoria, anche se di libertà io qui ne vedo poca. Piuttosto vedo l'ennesima liturgia dell'ingenuità spacciata per saggezza, o peggio per coraggio; vedo stuoli di donne che fanno rimbalzare sui social le proprie peripezie amorose, le proprie Iliadi sentimentali dove l'uomo è sempre il cattivo della storia e la donna è la piccola fiammiferaia incapace di far fronte a una certa violenza. E tutto questo ora ha anche una denominazione, diremmo un'etichetta ufficiale, tutto questo è diventato in un paio di mesi un vero e proprio trend: «Women in male fields» (letteralmente «Donne in ambiti maschili»), in breve trasformatosi in una denuncia mondiale, anche stavolta con una spiccata vocazione transnazionale e capace di rimbalzare da una generazione all'altra, come se non ci fosse alcun problema, come fosse normale trattare in modo così superficiale temi tanto enormi e stratificati.

Tuttavia ci si riesce - arrancando, appiattendo, banalizzando -, ci si sforza in modo encomiabile ed eccolo bell'e pronto: in poco meno di un minuto (il tempo di un video su TikTok e Instagram, piattaforme dove questo fenomeno ha preso più piede) ecco confezionato il coloratissimo video che crede di far giustizia, l'atto di accusa che riassume l'intera stoltezza e inadeguatezza del genere maschile: questo da colpevolizzare a prescindere, da condannare ontologicamente, da ripudiare senza assoluzione. Il noto patibolo da incorniciare insomma, che già solo così è triste ma che diventa tristissimo quando un tale automatismo social viene pure spacciato per femminismo, per battaglia di rivendicazione dei diritti delle donne, passate, presenti e future.

Ma davvero? Davvero si riassume così tutta quella lotta millenaria in cui rientra anche la mia strada di autodeterminazione e indipendenza? È questa la nostra più autentica vittoria? E davvero possiamo permetterci di maneggiare orizzonti tanto complessi in modo così sommario, così irrispettoso? Davvero le migliaia, anzi i milioni di donne che dall'inizio dei tempi hanno subito vessazioni, abusi, ritorsioni e crudeltà di ogni genere, dalle più insignificanti e risibili alle più inaccettabili, meritano ora di essere liquidate attraverso una ridicolizzazione dell'uomo tanto sciocca? È da questo che passa la riabilitazione del femminile? Dalla derisione, diciamo anche dall'odio, pubblico e ostentato del maschile?

Onde evitare equivoci, chi scrive potrebbe anch'essa aderire al «Women in male fields», data la quantità indecente di energumeni incontrati e la conseguente materia prima con cui produrre valanghe di filmati, attraverso cui spargere accuratamente

rancore su quest'uomo o su quell'altro. Se non lo faccio è perché credo fermamente che devo, dobbiamo ambire ad altre modalità di narrazione e denuncia. La nostra voce deve passare, forte e chiara, da ben altri megafoni.

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