Allontanarsi per riconoscersi: la lezione intatta di "Mediterraneo"

Il film di Salvatores, premio Oscar nel 1992, resta tremendamente attuale: fuggire per continuare a sentirsi, in un presente che fagocita i sogni

Allontanarsi per riconoscersi: la lezione intatta di "Mediterraneo"
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Un manipolo di soldati con una missione inutile. Un'isoletta semi deserta, conficcata nel bel mezzo dell'Egeo. Giornate distese e assolate, che dissolvono il frastuono della guerra. Quando le cadenze diventano così dilatate, riscoprirsi diventa finalmente possibile. Deve averla pensata così pure Gabriele Salvatores, premio Oscar con questa sua creatura - "Mediterraneo" - che nel 1992 fece irruzione nelle vite del pubblico portandosi appresso una poetica certamente ammiccante all'Italia, ma in fondo anche un messaggio universale. In un mondo che preme forsennatamente per omologarti, prendersi del tempo per ascoltare lo sciabordio interiore può rivelarsi salvifico.

Perché Mediterraneo è, in fondo, un film sulla necessità di perdersi per ritrovarsi. Lo spiega accuratamente, del resto, quella citazione di Henry Laborit all'inizio della pellicola: "In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare". Più manifesto di così. Ma attenzione. Non si tratta, come il regista spiegherà più avanti, della ricerca di una qualche forma di evasione. Lì, in quello spazio compresso tra gli ultimi ulivi e le prime palme del deserto - come scriveva Predrag Matvejević, autore del provvidenziale e ispirante Breviario Mediterraneo - i protagonisti si allontanano dalla rotta tracciata per infilarsi dentro intersezioni inedite e magari più appaganti. Non rifiutano per forza di confondersi con il tramestio del mondo. Abbracciano traiettorie diverse da quelle generate da qualcun altro al posto loro.

Così il tenente Raffaele Montini, il ruvido sergente Nicola Lorusso, l'assistente Luciano Colasanti, i fratelli Libero e Felice Munaron, il montanaro Eliseo Strazzabosco, il nostalgico dell'Italia Corrado Noventa e l'attendente Antonio Farina, sottratti al secondo conflitto mondiale possono esplorare quest'isola - Kastellorizo - e anche loro stessi. Salvatores denuncia con questo espediente la gracilità dei sogni dei trentenni - l'anagrafica media della combriccola - costretti in questa età di mezzo che non ti fa capire se è arrivato il momento di mettere su famiglia o perdersi per il mondo. Era, quello, un riferimento alla generazione nata a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, oppressa dai canoni già logori di una società che derubricava l'intuito a risibile orpello.

Quel messaggio ha oltrepassato i trent'anni, ma non è mica invecchiato. Quanta gente la pensa ancora come il sergente Lorusso? "Una vita è troppo poco. Una vita sola non mi basta. Se conti bene non sono neanche tanti giorni. Troppe cose da fare, troppe idee. Sai che ogni volta che vedo un tramonto mi girano i co*****i? ...perché penso che è passato un altro giorno. Dopo mi commuovo, perché penso che sono solo. Un puntino nell'universo. I tramonti mi piacerebbe vederli con mia madre, e con una donna che amo. Invece le notti mi piacerebbe passarle da solo; da solo, magari con una bella t***a, che è meglio che da solo".

Quell'isola diventa enclave di una rivoluzione interminabile. Quella di tutti i disillusi in cerca di rivalsa. Di chi ha provato a cambiare le cose, ma non è stato possibile, come ricorda ancora Diego Abatantuono, perennemente madido e illuminato: "Non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente... e allora gli ho detto... avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice... così gli ho detto, e son tornato qui".

Forse l'irriverente longevità di Mediterraneo, quella sua capacità di aderire perfettamente alle paturnie di generazioni così distanti nel tempo, abita proprio qui.

Nella capacità di identificarsi naturalmente con il dramma che molti condividono: la distanza tra la vita com'è e come vorresti che fosse. Ed in quel suo suggerire una rotta, senza pretese di esaustività, per tutti quelli che si sentono afflitti: a volte prendere le distanze è l'unico modo per riconoscersi.

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