I sette vizi girano sui social

Oggi i sette vizi capitali girano alla grande su social e app. Ma basta un personalissimo oblò per connettersi con l'infinito

I sette vizi girano sui social
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«E guardo il mondo da un oblò mi annoio un po'». La famosissima canzone dell'estate 1980 di Gianni Togni fa eco alla facile obiezione: «Voi preti avete la deformazione professionale di avere un angolo di visuale di cinquanta centimetri quadrati. Fuori è diverso!». A parte il fatto che la grata è la bisnonna della tanto moderna e sbandierata legge sulla privacy, mi chiedo: fuori è davvero diverso?

A distanza di quarant'anni l'oblò è stato tolto dalla parete ma per portarselo sempre dietro, però gli è stato cambiato nome, adesso si chiama «social». Uno spazio in cui «si confessa» di tutto. La riprova è che nell'estate 2017 un altro tormentone faceva ballare con Arisa e Lorenzo Fragola al ritmo di «siamo l'esercito del selfie». Qualcuno pensa sicuramente che sta per partire il solito pippotto da predicozzo trito e ritrito, ma... fuori è diverso! Invece a provocare è una prospettiva moderna da «life-coaching», rielaborando una riflessione di chi questa realtà digitale la plasma, come Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn. In un post - tanto per stare sul pezzo - si trova: «I social funzionano quando e perché rappresentano uno dei sette vizi capitali». Se un prete parla dei vizi capitali è ottuso, retrogrado e... fuori è diverso! Poiché invece lo afferma lui allora è wow! La sua analisi comunque è simpatica, curiosa e interpellante. La superbia è Facebook: sta tutto in vetrina, vantando orgogliosamente un'apparenza infiocchettata, magari per nascondere indizi di rughe (dato il range degli utenti). L'avarizia è Whats-App: chiedere tanto e dare poco perché io sono io e voi... dovete rispondere subito ai miei messaggi, alle mie storie luccicanti, altrimenti si bippano sentenze attraverso verità che crescono saltando da un gruppo all'altro, con una garanzia di riservatezza sigillata da svariati emoticons affinché «resti tra noi in Europa». La lussuria è TikTok: ciclone di emozioni con spirali virali che avviluppano, ammaliano, seducono e creano dipendenza. L'invidia è Pinterest: si è così bramosi di ciò che è affascinante, tanto da non riuscire più ad accorgersi del bello, del buono, del vero che già si ha. La gola è Instagram: si divorano stati d'animo, tutto ciò che ti piace è lì da inghiottire in un boccone. L'ira è Twitter dove si schizza il fango della rabbia senza freni, giustificato da un #hashtag. L'accidia è You-Tube: per pigrizia e noia fruisci a tuo uso e consumo solo ciò che gradisci, senza mai metterci nulla di tuo.

L'antico «vizi privati e pubbliche virtù» è stato ribaltato dall'oblò digitale in «vizi pubblici e virtù private». Saranno pure oblò, la grata e i social, comunque per entrambi la differenza sta nell'approccio: possono lasciare indifferenti, possono essere valutati negativi, possono apparire opportunità, possono essere vissuti come essenziali. Uno permette di essere connessi con gli altri e col mondo, l'altro con se stessi e con l'infinito. Non voglio tenere i sogni nel cassetto o peggio finire io chiuso nel cassetto lasciando i sogni fuori. L'oblò, come il finestrino del treno, mentre ti fa scorrere davanti il panorama velocemente, riesce a fermarti in una bolla per farti vedere orizzonti che hai dentro di te consegnandoti riflessioni che nessun altro luogo suscita. Io guardo il mondo da questo oblò e non mi annoio neanche un po'.

Ho mille libri in me di storie da sfogliare e ho mille sogni nel cassetto da rivalorizzare; parlo da solo per qualcuno, invece sono convinto che c'è chi mi ascolta e mi accoglie all'infinito e penso proprio che in fondo, sì, sto bene così! Fuori è diverso? Può essere! Ma anche dentro è diverso se guardo il mondo da quell'oblò.

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