"Il mio amico Toto? Scontroso in superficie ma dolcissimo. E molto malinconico"

L'intervista a Pippo Baudo. "Arrivare secondo gli bruciava però aveva imparato a scherzarci"

"Il mio amico Toto? Scontroso in superficie ma dolcissimo. E molto malinconico"
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Non fai in tempo a chiederlo a lui, che lui te lo dipinge subito, con quattro pennellate precise. «Grandissimo artista, scontroso in superficie, al fondo dolcissimo. E tanto malinconico». Lo conosceva bene, Pippo Baudo, il suo amico di una vita Toto Cutugno. Da sovrano indiscusso delle gare canore televisive, Baudo ha condiviso infatti tutti i passaggi salienti della popolarissima, quanto discussa, carriera dell'«eterno secondo» della canzone italiana.

Quanto bruciava a Cutugno arrivare sempre sul secondo gradino del podio?

«Gli bruciava, eccome. Ma col tempo sempre meno. Era diventato quasi il suo marchio di fabbrica: un motivo per riderci su. Come per il ciclista Poulidor: Toto sapeva benissimo che arrivare secondi fra un gran numero di colleghi, e soprattutto di grandi colleghi, significava comunque essere uno dei migliori. E lo era, difatti».

Il suo nome sarà per sempre legato all'Italiano. Vera gloria o abilità un po' ruffiana?

«L'Italiano appartiene alla categoria delle grandi canzoni popolari. Parole efficaci, un refrain orecchiabile, sentimenti largamente condivisi. Il suo successo planetario ne dimostra l'indiscutibile valore».

Eppure la critica togata, quella che dà i premi che contano, Cutugno non l'ha mai amato.

«Vero. Dai critici c'era parecchia supponenza, quasi un fastidio, nei confronti di Toto. Poi però, quando non si presentava a Sanremo, davanti a cantanti di modesta qualità, allora si lamentavano: Ridateci Cutugno!. Era un modo, paradossale se vuole, di riconoscerne la superiorità. E la professionalità indiscutibile».

Ma lui quanto ne soffriva?

«Il complesso ce l'aveva: inutile negarlo. Con gli anni il successo dilagante del pubblico finì per compensarlo. Conquistata la maturità, come tutti gli artisti arrivati, se ne fece una ragione. E non ci pensò più».

Il pubblico lo ricorda anche per il carattere ombroso, le uscite impulsive e, diciamo così, poco formali...

«Con gli estranei Toto poteva sembrare un po' orso. Ma a conoscerlo bene rivelava un carattere dolcissimo. Era perfino simpatico. Spesso malinconico: lo era di natura, perché aveva molto sofferto, fin da giovane. Il successo se l'era sudato, e se lo meritava tutto. Una ventina d'anni fa lottò anche contro un tumore. E questo genere di lotta, ragazzi, non è mai uno scherzetto».

Da amico ed estimatore, quale delle sue canzoni ricorda più volentieri?

«Gli amori. Lo presentò a Sanremo 1990. Quell'anno c'era l'abbinamento con cantanti stranieri fuori gara. A lui toccò Ray Charles; il quale cantò la sua canzone con alcune variazioni.

E i soliti critici commentarono Ray riesce a migliorare perfino Cutugno!: Non sapevano che, in realtà, era stato Toto a cambiare alcune battute della sua canzone. Il grande Charles l'aveva eseguita esattamente come l'aveva scritta lui, Toto».

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