Nel Giorno dell'Unità Nazionale pensiamo a un maestro di modernità: quello Scipione che obbligò l'invasore a ritirarsi per difendere la sua patria

Si dice che è dall'esperienza della storia che nascono i valori immutabili e irrinunciabili di una Nazione

Nel Giorno dell'Unità Nazionale pensiamo a un maestro di modernità: quello Scipione che obbligò l'invasore a ritirarsi per difendere la sua patria
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Il 4 novembre si celebra il «Giorno dell'Unità Nazionale». Alla fine della Prima guerra mondiale l'Armistizio di Villa Giusti (entrato in vigore appunto il 4 novembre 1918) consentì agli italiani di portare a compimento il processo di unificazione nazionale. L'impegno militare lungo il confine nord-orientale, con il sacrificio di oltre seicentomila Caduti, fu la testimonianza di un profondo sentimento di amor di Patria che animò i nostri soldati e gli Italiani in quegli anni. Per onorare il loro sacrificio il 4 novembre 1921 ebbe luogo la tumulazione del «Milite Ignoto» nell'Altare della Patria a Roma. Per questo è anche la giornata delle Forze Armate.

Si dice che è dall'esperienza della storia che nascono i valori immutabili e irrinunciabili di una Nazione. Allora probabilmente soffriamo di amnesia vista la situazione del mondo o quanto succede nella società o se con schiettezza riflettiamo sulle nostre relazioni. Eppure nella mia esperienza mi accadono spesso situazioni di percezione dell'unità nazionale e mi succede soprattutto in confessionale: la colpa è sempre di tutti gli altri messi insieme. È colpa della famiglia, del condominio, degli avversari, della squadra di lavoro o di amici, della politica, della chiesa, della mentalità. Mai la propria. In una vigilia di Natale una signora mi ha elencato i peccati e i vizi di ogni suo vicino di casa, con accurati dettagli: non c'era nulla di suo, se non il dichiararsi «vittima». Ironicamente le ho risposto, sorridendo

insieme, che dopo la confessione avrebbe potuto fare un regalo comune mettendo un cartello sulla porta dell'androne di ingresso per condividere l'assoluzione, in quanto aveva già fatto lei per tutti.

L'unità nazionale, intesa così, ha fatto riaffiorare in me un ricordo. Primo maggio 2015. Gli occhi di tutta l'Italia sono puntati su Milano per l'inaugurazione di Expo. Un coro di bambini intona l'inno, ma un brivido attraversa tutti al sentire una inaspettata e coraggiosa virata: «strimgiamci a coorte... siam pronti alla vita! L'Italia chiamò!». Il patriottico «siam pronti alla morte», poco prima esaltato dalle possenti voci adulte di cori di alpini, già pronto sulle labbra di ciascuno per il gran finale, viene spiazzato da quelle voci bianche, delicate e penetranti, illuminate da grandi occhioni aperti sul futuro. Mentre tutti cantiamo tranquilli la prima strofa, la seconda ci è sconosciuta, ma è di estrema attualità: «Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam Popolo, perché siam divisi: raccolgaci un'unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l'ora suonò». La terza conclude: «Uniamoci, amiamoci, l'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore; giuriamo di far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può? Stringiamci a coorte».

Mi chiedo: se i valori sono immutabili davvero, c'è un modo moderno per ritradurre quanto Il canto degli italiani esprime in modo arcaico? Oppure dobbiamo rassegnarci alla

disgregazione e cercare il male minore? Sono convinto che ci sia proprio in quel passato un maestro di modernità: è Scipio con la chioma del suo elmo. Nella seconda guerra punica, Scipione è un giovane soldato. Annibale, il terribile condottiero cartaginese, arriva in Italia valicando le Alpi con 37 elefanti. Spaventavano. Ci rivedo la potenza di ogni tipo di ingiustizia, violenza, malaffare. Di fronte al nemico che avanza, sicuro di vincere, ferendo l'Italia e uccidendo i suoi cittadini e i servitori della patria, Scipione non sfida gli elefanti, ma mette in gioco se stesso: va in Africa e attacca Cartagine, il luogo di origine di Annibale. Lo costringe così alla ritirata perché proprio mentre vantava la sua prepotenza, vedeva sgretolarsi i suoi spazi originari e identificativi.

Annibale è uno stratega del male. Scipione è un artigiano del «maggior bene possibile». Annibale si sente furbo, invincibile. Scipione gli oppone tecnica, metodo, costanza, lungimiranza.

Annibale schiaccia persone e conquista posizioni, Scipione ricrea un sistema convogliando energie in modo diverso, là dove si vive e là dove sgorga l'unificazione di se stessi. Per ciascuno è nel «qui e ora» che si gioca quel «strimgiamci a coorte, siam pronti alla vita!».

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