"Non ho usato quelle parole". Pure il testimone smentisce il dialogo di Chico Forti

Dopo la smentita dell'ex surfista ad avere pronunciato le minacce contro Travaglio e Lucarelli e la scarsa credibilità del detenuto vicino alla 'ndrangheta (che avrebbe parlato con Forti), ecco che colui che avrebbe ascoltato quel dialogo smonta il modo in cui sono state riportate dalla stampa le sue parole

"Non ho usato quelle parole". Pure il testimone smentisce il dialogo di Chico Forti
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La vicenda delle presunte minacce partite da Chico Forti nei confronti di Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli comincia a vacillare sempre di più. Da quando due giorni fa è esploso il caso mediatico in cui si riportavano le rivelazioni di un altro detenuto - secondo il quale l'ex surfista gli avrebbe chiesto aiuto per contattare i clan della criminalità organizzata e tentare di "zittire" i due giornalisti del Fatto Quotidiano, da sempre critici sulla sua vicenda personale - sono via via cominciate a emergere le prime contraddizioni sull'intero episodio, per il quale comunque risulta l'apertura di un'indagine al momento senza indagati né ipotesi di reato contestate (modello 45).

Oltre alla secca smentita offerta immediatamente dallo stesso Forti, adesso si sa anche qualcosa di più rispetto alla persona alla quale l'uomo condannato per l'omicio di Dale Pake avrebbe chiesto un "aiuto" per mettere a tacere Travaglio e Lucarelli: si tratta di un settantenne di origini calabresi, partecipe ma non direttamente inserito nell'organigramma dei clan 'ndranghetisti, e che ha sempre galleggiato in una sorta di limbo. Una "figura di spessore criminale" pur non potendolo considerare propriamente un boss di mafia né, tantomeno, un collaboratore di giustizia. Ora è indagato per truffa e il gip che ha convalidato l'arresto, tre mesi fa, aveva scritto della sua "indiscussa abilità nel mostrare falsi segnali di resipiscenza". E non è da escludere che uno di questo "falsi segnali" sia quello di volere "salvare" due giornalisti a rischio. Insomma la sua credibilità è tutt'altro che sicura.

C'è inoltre un altro elemento, tuttavia, non trascurabile che potrebbe delineare un quadro ancora più fosco in questi vari aspetti: il testimone che avrebbe assistito al dialogo tra i due nel corso dell'audizione con gli inquirenti di martedì, avrebbe precisato che quella conversazione ci sarebbe effettivamente stata, ma non nei termini riportati dalle notizie di stampa. Non solo, ma questa persona non si sarebbe mai aspettato di vedere la vicenda "spiattellata" sui media appena 48 ore dopo essere stato sentito dagli inquirenti e soprattutto dopo che gli era stato assicurato che gli atti sarebbero stati secretati. Anche perché adesso teme di potere subire ritorsioni sia dentro sia fuori dal carcere.

In tutto questo - come ha ricordato ieri Filippo Facci sul nostro Giornale - Raffaele Tito, procuratore capo a Verona è un magistrato arrestò nel febbraio 1993 (assieme ad Antonio Di Pietro) Paolo Berlusconi nonostante quest'ultimo si fosse messo già a disposizione tre giorni prima dell'arresto, quando già circolavano voci su di lui: poi l'indagine giudiziaria sfociò in un proscioglimento in Cassazione per 250 imputati su 494 ("il fatto non costituisce reato") e là venne assolto anche il

fratello del Cavaliere. Insomma: giorno dopo giorno, tutto il discorso riguardante l'ordine impartito da Chico Forti contro Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli sembrerebbe perdere sempre più fondamenta sulle quali reggersi.

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