Ogni vittima e ogni carnefice hanno una madre. Dal loro dolore dobbiamo trarre la forza per essere diversi

La mamma della vittima e quella dell'assassino hanno la medesima domanda: "e adesso come faremo?". Ho il peso di vederla consegnata a me e a noi: "e adesso cosa faremo?"

 Ogni vittima e ogni carnefice hanno una madre. Dal loro dolore dobbiamo trarre la forza per essere diversi
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Un vecchio racconto narra che, tanti anni fa, in una sperduta parrocchia delle valli bergamasche, un contadino dal carattere ruvido si inginocchiò nella penombra del confessionale e sboffonchiò al suo parroco in dialetto col ritmo incalzante (che qui traduco perché sarebbe incapibile): «Ho rubato mele, pere, ucciso un uomo, fichi e uva». Il prete dopo un attimo si rese conto che qualcosa non tornava e, cogliendo il dettaglio, obiettò: «Fermo, fermo! Non è tutta frutta!». In questi giorni mi ha colpito la dichiarazione dell'omicida di Sharon: «Lei guardava le stelle, ascoltava la musica e le ho detto: perdonami. Ero in quel mood. Mi è sembrata debole e io avevo bisogno di emozioni forti». Non sfioro nemmeno la tragedia di Paderno Dugnano con il 17enne che accoltella padre, madre, fratellino. C'è poi la lunga schiera di vittime della violenza sulle donne. Il vecchio contadino aveva nascosto il suo errore per vergogna tra la frutta, ma qui non c'è più niente nel cestino, stiamo raschiando il fondo? Chi può aiutarci a ritrovare umanità? Qualcuno c'è e l'ho notato guardando le notizie dell'omicidio di Sharon. È chi ha consegnato il discorso più intenso: il silenzio. Sono le due mamme, quella della vittima e quella dell'assassino. Tra innumerevoli voci di interpretazioni e le svariate dichiarazioni e interviste, la mamma di Sharon è stata sempre un passo indietro. Anche nelle foto è così. Hanno parlato tutti tranne lei. E poi c'è l'altra mamma, quella dell'omicida, maltrattata dal figlio lei stessa

in precedenza, che però ha chiesto subito di incontrarlo, senza farsi vedere da nessuno. Nella testa e nel cuore mi è affiorato allora il ricordo di un articolo di giornale. È la riflessione di un saggio prete, Mons. Andrea Spada, illuminato direttore de L'Eco di Bergamo. Marzo 1964. È la settimana santa. Due ragazzini vengono uccisi nella bassa pianura, in due paesi confinanti: uno è di Cologno e uno di Ghisalba. Il sabato, vigilia di Pasqua, viene arrestato il colpevole, un sedicenne. I funerali dei due ragazzi verranno celebrati il lunedì dell'angelo. Commenta: «Forse solo le altre due mamme possono capire la tragedia della terza mamma, quella del colpevole, la più disgraziata di tutte. Non ci sarà nessuno che bussi alla sua porta per consolare le lacrime più brucianti che una mamma possa piangere nel mistero più angoscioso che possa piombare su una casa. Certe tragedie raggiungono un piano dove solo le lacrime delle madri possono parlare: madri di chi ha ucciso e di chi è rimasto vittima, madri di Caino o di Abele, ma pur sempre madri, col loro enorme fardello di pena, assai più pesante di tutti, ognuna con la sua croce, col suo pianto. È la tragedia sulla quale solo la pietà di Dio e delle creature umane potrà portare lume e speranza». La mamma della vittima e quella dell'assassino hanno la medesima domanda: «e adesso come faremo?». Ho il peso di vederla consegnata a me e a noi: «e adesso cosa faremo?». Ho sentito dire che i misteri assurdi della vita, quelli che sconquassano nel profondo, hanno sempre i colori dell'alba: c'è sufficiente buio per chi non vuol vedere e c'è abbastanza luce per chi vuole intuire la possibilità di fare dei passi. Se queste morti sono assurde, non possiamo renderle inutili. Non serve a nulla piangere sul latte versato, bisogna decidersi ad andare a vedere da che parte è uscito, altrimenti ci ritroveremo allo stesso punto. Le lacrime di quelle mamme hanno per tutti la potenza di un collirio: questa è la possibilità di trovare «lume e speranza». Faranno bruciare gli occhi della società, ma spero possano far bruciare gli occhi a ciascuno di noi, potenziali vittime non solo di chi come quella sera ha voluto uccidere a caso perché «era nel mood», ma sopratutto vittime di un cestino vuoto in cui non c'è più frutta, non ci sono bocconi solidi di principi con cui nutrirsi e di valori da gustare. Ma si può tornare a riempire.

Le mamme insegnano che la

frutta c'è per ogni stagione basta cercarla e volerla. Quel cestino non è chissà dove, ma è appoggiato sul tavolo della cucina di ogni nostra casa. Un abbraccio alle due mamme e a tutte le mamme di vittime e di assassini.

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