Paul Alexander: addio all'uomo che ha vissuto 70 anni nel polmone d'acciaio

Il coraggio di Alexander: ha scritto, viaggiato e si è laureato nonostante la paralisi

Paul Alexander: addio all'uomo che ha vissuto 70 anni nel polmone d'acciaio
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Dei suoi settantotto anni, settanta li ha vissuti dentro un polmone d’acciaio. Si è perfino laureato sdraiato in quella capsula gialla infernale. Lunedì Paul Alexander è morto a Dallas, negli Stati Uniti. Qualche settimana fa era stato ricoverato in ospedale dopo aver contratto il Covid, ma lo avevano dimesso ed era tornato nel minuscolo appartamento senza finestre nel quale viveva.
Ad occuparsi di lui un fratello, il personale sanitario che si turnava incessantemente e i suoi sostenitori «virtuali» che in questi anni, inviando denaro, gli hanno permesso di rimanere in vita, sempre che nel caso di Paul di vita si sia trattato. Sopravvissuto a un’epidemia di poliomielite da bambino, che lo aveva reso paralizzato a vita, ha vissuto dal 1952 al 2024 nel polmone d’acciaio. Eppure Paul ha riempito questi anni di senso e di passione: ha studiato (a 21 anni divenne la prima persona a diplomarsi in una scuola superiore di Dallas senza mai frequentare le lezioni di persona), dipinto, «viaggiato», ha scritto un libro di memorie (lo ha scritto con la bocca, grazie a una penna montata su un bastoncino) dal titolo «Three Minutes for a Dog: My Life in an Iron Lung», 155 pagine in cinque anni, ha organizzato un sit-in per i diritti dei disabili e si è laureato in legge. Durante il periodo dell’università si innamorò di Claire, ma la mamma di lei fece il diavolo a quattro, si oppose e riuscì a dividerli. Anni dopo conobbe Kathy Gaines una donna cieca a causa del diabete di tipo uno che però divenne le sue «braccia» e le sue «gambe». Ma Paul non ebbe sempre rapporti fortunati: «È stato sfruttato da persone che avrebbero dovuto curare i suoi interessi.
Questi furti, uniti al costo elevato dell’assistenza sanitaria, hanno lasciato a Paul pochi soldi per sopravvivere» aveva raccontato il fratello spiegando anche che il denaro raccolto con una petizione sul sito GoFundMe lanciata per sostenere le sue spese sanitarie, ora serviranno anche per pagare il suo funerale.
Nel corso degli anni, i medici provarono a proporgli ventilatori più moderni, ma Paul era abituato a quella sua scatola di metallo.

Mentre era in ospedale, anche l’ultima volta, i dottori avevano cercato di far respirare Paul da solo, spegnendo la macchina e costringendolo a uscire, ma non ci è voluto molto perché diventasse blu e svenisse. Era praticamente da tutta la vita che era sistemato lì dentro e forse ormai era più spaventato da tutto il resto fuori di lì.

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