"Le canzoni? Meglio i cani". E Viareggio lasciò il Festival a Sanremo

Il Festival della canzone italiana nacque nella città versiliese, ma dopo due ottime edizioni a La Capannina, l'Azienda per il turismo si sfilò incredibilmente

"Le canzoni? Meglio i cani". E Viareggio lasciò il Festival a Sanremo
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Nessuno dei tre riesce davvero a crederci. Sono stati tutti convocati nell'ufficio del direttore dell'Azienda per il Turismo di Viareggio, il marchese Bottini. Indossano impermeabili zuppi, perché quello del 1950 è un inverno particolarmente piovoso. Ma il diluvio è davvero l'ultimo dei loro problemi: quelle 50mila lire di finanziamento pubblico proprio non si trovano. Il marchese, infatti, scaccia l'aria con la mano e chiude la questione: "A che ci serve questo Festival? Chi sono i pazzi che ci cantano? E poi abbiamo già il carnevale. Alla Capannina facciano una mostra di cani, piuttosto".

Questo Festival sarebbe il Festival della Canzone italiana. Sarebbe il Festival di Sanremo, come lo conosciamo oggi, da innumerevoli edizioni. Solo che qui siamo sulla costa versiliese. Solo che il Festival sarebbe nato qui. Il trio che non riesce a raccapezzarsi per quella decisione tutt'altro che lucida è formato da Alberto Sargentini, presidente del "Comitato festeggiamenti", che si occupa in prima persona del carnevale e di molti altri divertissement, dall'imprenditore Sergio Bernardini e dal compositore/giornalista Aldo Valleroni.

Come si fa, si chiedono a farneticare in questo modo? A ritrarsi da una creatura che in due magnifiche estati - perché il Festival della canzone italiana a Viareggio si fa d'agosto - ha catturato migliaia di persone dal vivo, alla Capannina, il già celebre locale di Bernardini, e per radio, essendo i pezzi diffusi in diretta nazionale, grazie alla geniale intuizione degli organizzatori. La formula, del resto, funzionava benissimo.

Nel primo dopoguerra c'era una dilagante voglia di tornare alla normalità, di slacciare finalmente i freni, di divertirsi. Certo, in un paese ancora in ricostruzione non mancavano i problemi. Per organizzare la prima serata del Festival - il 25 agosto 1948, dentro una Capannina strabordante - servì chiedere in prestito all'esercito americano di stanza a Camp Derby gli accumulatori necessari per non far saltare la corrente.

Ma tutto filò liscio e gli interpreti, rigorosamente portatori di brani inediti, molti dei quali dal retrogusto balneare, conquistarono la folla. La prima edizione, tra i dieci brani in gara, la vinse "Serenata al primo amore", di Piero Moschini. Tra gli interpreti spiccavano anche Narciso Parigi e Silvano Lalli. Al Festival l'amore era già un tema cardine, i flirt estivi detonavano facilitati dalla calca che si strusciava danzando, la gente intonava il suo motivetto preferito e sorrideva. Così, per l'edizione del 1949 l'attesa fu ancora superiore: un pubblico ancora più esorbitante vide vincere Gastone Parigi, che portava un brano scritto da Valleroni. Gli italiani erano sempre più innamorati del Festival e tutti, ormai, lo collocavano stabilmente a Viareggio, anche soltanto mentalmente.

Invece il marchese Bottini ribalta tutto: se vogliono che il Festival prosegua, i soldi ce li mettano Valleroni e Bernardini. Non ce li hanno? Bene, qui si faccia pure un'esposizone canina o, suggerisce ancora lo sprovveduto dirigente, "la fiera annuale del turismo svizzero". Nel frattempo un certo Pier Busseti, figura cardine per il Casinò di Sanremo, è in Versilia per cercare ispirazione. L'incarico è chiaro: rilanciare la costa di ponente con eventi di qualità.

Quando fiuta l'occasione, la partita si conclude quasi da sola. A Viareggio i soldi per continuare non ci sono, a Sanremo sì.

Il Festival trasloca da subito ed il resto lo sappiamo tutti. Per la Versilia è una ferita che fiotta ancora, a più di settant'anni di distanza.

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