Quattro italiani su dieci si fanno curare dal dottor Google

Quando ha un problema di salute oltre il 40% degli italiani si rivolge a siti web specializzati, il 38% cerca rassicurazioni su Google. Ma i rischi sono altissimi

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Noi ipocondriaci ogni giorno abbiamo paura di aver avere qualcosa, basta un minimo dolorino e iniziamo a sudare freddo, e andiamo subito su Google. Lì dipende da come siamo: se ottimisti troverete informazioni che vi dicono che non è niente, è ansia. Se pessimisti darete più credito a chi vi dice di farvi controllare, perché potrebbe essere grave. Se invece siete sia ipocondriaci che patofobi, come me, darete credito alla notizia peggiore, ma non andrete a farvi controllare perché avete paura di scoprirlo, quindi vivete nel terrore.

Tra l’altro rivolgersi al Dr Google è una pratica ormai diffusissima. Oltre il 40% degli italiani si rivolge a siti web specializzati (quelli con i vari medici online), e il 38%, come me, cerca rassicurazioni su Google. Pratica su cui è stato lanciato un vero e proprio allarme. Se ci rivolgiamo al medico, crediamo già di sapere cosa abbiamo o meno, perché ci siamo fatti già un’idea, senza diagnosi, senza accertamenti, o in un senso o nell’altro abbiamo letto quello che volevamo leggere. Oltretutto, se ci fate caso, i siti internet tendono sempre a rassicurarvi, in genere quelli che vogliono vendervi un «rimedio naturale». Quelli più seri vi dicono di rivolgervi al medico, e lì scatta l’ansia, ma siccome siamo diventati navigatori esperti sentiamo quello che vogliamo sentire, e molti si aggrappano a fake news, e quando arrivano dal medico sono loro a spiegare cosa hanno.

L’autodiagnosi, cosa pericolosissima (lo so, parlo io che ne sono affetto), è un fenomeno che ha avuto un’impennata con il Covid (come le fake news mediche). Una cosa che succede spesso in House MD, tra le mie serie preferite in assoluto, e una volta House, a uno che è arrivato da lui, sicuro di avere i sintomi di una malattia che aveva trovato sul web, gli risponde: «Già, perché laurearsi in medicina se c’è il Wi-FI?». Oltretutto House ci ha familiarizzato con nomi di malattie rarissime, per cui una volta al mio medico ho detto: «E se fosse Erdheim-Chester?». Mi ha guardato come se fossi pazzo. Non aveva tutti i torti, ma ho capito che non aveva mai visto House. Roberto Burioni mi ha detto: «Quando pensi di avere qualcosa non andare mai su Google, chiama me», e credo se ne sia pentito, visto che mi sento qualcosa ogni giorno. Oltretutto è ipocondriaco anche lui, e mi ha detto: «Il problema è che voi temete di avere quattro o cinque patologie, un tumore, un problema cardiaco, eccetera, per noi che ne conosciamo migliaia è peggio».

Tuttavia ogni giorno ci sono scoperte entusiasmanti. L’ultima è una cura innovativa per il tumore al colon (già mentre scrivo mi vengono i brividi e mi sento dei dolorini proprio lì, ok adesso è psicosomatico, su), sviluppata dai ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e consiste nell’utilizzo di nanoparticelle (infatti i risultati sono stati pubblicati sull’International Journal of Nanomedicine). Nanoparticelle ibride, un mix di diatomite, oro e il galunisertib, un farmaco anticancro, incapsulate in una matrice di gelatina e capaci di andare a colpire precisamente le cellule tumorali, riconoscibili dalla proteina L1CAM.

Io sono convinto che le nanotecnologia ci salverà, perché le nanoparticelle sono piccole, sono precise, sono come dei piccoli soldati che vanno a colpire là dove devono colpire. Non ho dubbi sui progressi sempre più rapidi della medicina, delle biotecnologie, ora anche con l’utilizzo dell’AI, tutto questo è fantastico.

Ogni nuova scoperta è una speranza, però fate presto, investiamo ancora più fondi per la ricerca a livello mondiale, la scienza ha tutto il tempo che vuole, prima o poi ci arrivano, noi no. Intanto, dopo aver scritto questo, sto pensando di andarmi a fare una colonscopia di controllo. Non ci andrò, ma non passerò una bella giornata finché non riesco a togliermi il pensiero dalla testa.

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