Quest'anno nel Presepio potremmo mettere (idealmente) anche un oste più attento ai sentimenti che agli affari

Quest'anno nel Presepio potremmo mettere (idealmente) anche un oste più attento ai sentimenti che agli affari
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Poiché i segni del Natale stanno già riempiendo scaffali e vetrine, da questa settimana mi sono inventato di confessare i personaggi del presepio. Quale storia o quale messaggio potrebbero avere per noi le statuine più comuni?

Il primo a cui ho pensato è l'oste di Betlemme. Di fatto è dal suo «No! Non c'è posto per voi nella mia locanda!» che deriva la scena della grotta di Betlemme. Mi è venuto da chiedergli: «Ma lei, signor Oste, è cosciente di aver sbattuto la porta in faccia a Dio? Non pensa che questo rifiuto sia un peccato mortale? Non si sente in colpa?». Lui con schietta e gelida determinazione mi ha ribattuto: «Ma sta scherzando?! Oltre all'albergo sono impicciato col banchetto in fondo alla stradina di ghiaia, tra il muschio, dove vendo pane, formaggi, frutta e verdura. Per fortuna mi aiuta mia moglie, sempre presa anche lei: la si vede spesso lavare i panni o filare. Tra l'altro guardi che sono qui a parlare con lei, nonostante le mille cose da fare, solo perché ha insistito la mia metà. Affermarsi, arrangiarsi, guadagnarci, sono queste le mie priorità. Il suo Dio ha capito che il gioco per tutti è non affogare e cercare di stare a galla? Quei due hanno chiesto, ma ero in over booking. Che potevo farci se lei era incinta?! Così sono passato per il volto dell'indifferenza. Non mi disprezzi. Nessuno mi aveva mai abituato a sospettare che la vita dell'uomo è ben più di un bel gruzzolo in tasca, finché ho avuto una lezione particolare. Ero a scuola

per la recita natalizia dei miei figli. Il più preso era Mattia, un loro compagno, robusto e simpaticamente un po' goffo, ma sempre servizievole e sorridente, che aveva qualcosa più degli altri, aveva infatti un cromosoma in più di tutti ed è quella che viene chiamata Sindrome di Down. Come ogni anno pensava di fare il pastore, ma la maestra decise di premiarlo con un ruolo di scena. Era in quinta e sarebbe stata l'ultima recita di Natale. Avrebbe fatto me: l'oste. La parte comportava poche battute e Mattia, più grande degli altri, dava forza scenica al celeberrimo rifiuto. Quella sera c'era un folto pubblico, ma nessuno viveva la magia della notte di Betlemme più intensamente di Mattia, totalmente preso dal suo personaggio. Venne il momento dell'entrata in scena di Giuseppe, che avanzò piano sorreggendo teneramente Maria. Giuseppe bussò forte alla porta della locanda. Mattia, era là, in attesa: Che cosa volete? chiese, aprendo bruscamente la porta. Cerchiamo un alloggio. Cercatelo altrove. Siamo al completo!. Il tono, tutto preso nella parte, era molto deciso. Non c'è posto per voi!, replicò, facendo un tenerissimo sguardo burbero. La prego, buon locandiere, mia moglie Maria aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare, anche solo un angolino. A questo punto, Mattia, l'oste, guardò Maria. Seguì una pausa di silenzio lunga abbastanza da far serpeggiare un filo d'imbarazzo tra il pubblico. No! Andate via!, sussurrò il suggeritore da dietro le quinte. No!

- ripeté Mattia automaticamente - andate via!. Rattristato, Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò la testa sulla spalla. Cominciarono ad allontanarsi. Invece di richiudere la porta, però, Mattia il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso alla coppia. Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da intense rughe e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutto ad un tratto, quella recita divenne particolare, unica. Non andar via Giuseppe - gridò Mattia - riporta qui Maria!. E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: Potete prendere la mia stanza, io dormo sul divano!. Secondo alcuni Mattia aveva rovinato la rappresentazione, aveva bloccato la scena, che non funzionava più. Per altri, il colpo di scena di Mattia creò la più natalizia di tutte le rappresentazioni. In questo Natale anche io, l'oste, voglio provare ad essere diverso. Andrò alla grotta, magari portando pane e vino.

Spero che quel Bambino accolga il mio pane, frutto del mio lavoro e un po' del mio rubare, e il mio vino, segno di festa e un po' del brivido del piacere. Io, l'indifferente, forse così imparerò a non sprecare nessuna briciola del quotidiano e nessun sorso di senso».

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