"Richiesta d'asilo in acque italiane". Il trucco delle Ong per incastrarci

Il ricorso contro i ministeri dell'Interno, delle Infrastrutture e della Difesa spiega che la richiesta dei migranti è partita in acque italiane. Cosa significa e perché c'è il rischio di creare un precedente

"Richiesta d'asilo in acque italiane". Il trucco delle Ong per incastrarci

Le richieste d'asilo sono scattate proprio quando la nave Humanity1 era in acque italiane. Che tempismo. Così, l'istanza formulata dai migranti è stata inoltrata proprio al nostro Paese e non alla Germania (di cui l'imbarcazione Ong batte bandiera). L'ennesimo braccio di ferro con le autorità italiane sul tema immigrazione riguarda le controverse vicissitudini della nave di Sos Humanity e dei suoi ospiti, che - secondo quanto si apprende - lo scorso 6 novembre avevano manifestato la "volontà di richiedere protezione internazionale" quando già si trovavano nelle nostre acque territoriali.

Il ricorso dei migranti

I profughi, ha fatto sapere l'Ong, avevano espresso la loro intenzione "al capitano, ai membri dell'equipaggio" e al legale a bordo della nave. Pertanto, come si legge nel ricorso ex art. 700 Cpc visionato dall'Adnkronos, gli stessi migranti hanno "messo per iscritto tale volontà hanno espressamente delegato" il loro avvocato difensore all'invio di tale manifestazione all'ufficio immigrazione della Questura di Catania, territorialmente competente. Detto, fatto: la richiesta era stata formalizzata il giorno stesso dal legale mediante invio dalla sua posta elettronica certificata.

Il dettaglio decisivo sulle acque territoriali

E qui l'ulteriore dettaglio che sembra quasi una beffa. Come accennato, infatti, dal momento che i migranti avevano espresso le loro richiesta d'asilo in acque italiane, Humanity1 ha provveduto a presentare la domanda al nostro Paese, da formalizzare poi a terra. Diversamente, se la manifestazione di volontà dei profughi fosse avvenuta mentre la nave si trovava in acque internazionali, l'istanza avrebbe riguardato la Germania, paese di bandiera dell'imbarcazione. Rispetto a questo aspetto, però, l'Ong tedesca si dichiara mera trasmettritrice di un procedimento burocratico che non la riguarda.

Il rischio di un precedente

"Il capitano e il difensore svolgono una funzione di mera trasmissione della richiesta di protezione dei richiedenti alle autorità preposte", si legge infatti nel ricorso al Tribunale di Catania contro i Ministeri dell'Interno, Infrastrutture e Difesa del nostro Paese, effettuato dai migranti rimasti a bordo dell'Humanity1 dopo lo sbarco dei fragili. Al netto del fatto che, poi, tutti i passeggeri sarebbero approdati sulla terra ferma, la mossa sembra però destinata a creare un precedente che rischia di ostacolare il governo e la recente risoluzione del Viminale sugli sbarchi dalle navi Ong.

Nel ricorso si legge peraltro che "solo con l'ingresso dei migranti in un porto di sbarco l'operazione Sar (Search and rescue - ndr) può dirsi conclusa".

L'atto cita però poi a sostegno la risoluzione Imo (International maritime organization - ndr) 167/78, per la quale invece tale obbligo di assistenza si può considerare concluso anche a bordo di una nave, a maggior ragione se attrezzata proprio per svolgere attività di assistenza in mare. Nei giorni scorsi, invece, l'Ong Sos Humanity aveva presentato ricorso al Tar contro i provvedimenti del governo.

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