Svegliarsi dal coma e credere di essere negli anni Ottanta

Riprendere coscienza nel 2024 ma essere convinto di essere fermo ancora a quarant'anni fa, un'epoca ormai completamente diversa dalla nostra

Svegliarsi dal coma e credere di essere negli anni Ottanta

Un uomo in coma, Luciano, si è svegliato dopo un ictus credendo di essere negli anni Ottanta, così dice l’articolo di giornale che mi ha portato l’infermiera. Hanno pure sbagliato la data, c’è scritto 21 ottobre 2024.

Chissà come deve essere, sensazione assurda, non riesco a immaginarmelo. Io mi trovo qui in ospedale, invece, semplicemente perché sono caduto dal motorino, un Ciao che ha voluto farmi provare mio cugino, secondo me con una certa malizia, perché sa che non so andare in motorino e non mi interessano i motorini e hanno ragione i miei genitori che hanno paura a farmi andare in motorino e io sono furbo: siccome del motorino non me ne frega niente, ora meno che prima visto che sono caduto e ho battuto la testa, faccio finta di volerlo, come gli altri ragazzi, poi lo baratto sempre con un computer e console. Per esempio ho venduto il mio Spectrum 48 K e mi sono fatto comprare da Tuttocomputer un Commodore 64, con ben 64 Kilobyte di memoria: sono passato da essere uno spectrumista a essere un commodorista. Ho anche il Colecovision, altro baratto con altro motorino, e il Donkey Kong del Colecovision è uguale a quello del bar, della sala giochi, uguale, altro che Atari e Intellevision.

"Tutto bene?" mi dice l’infermiera affacciandosi. Le faccio cenno di sì. "Tra poco vengo a farle il questionario". Annuisco di nuovo, boh, che questionario? Butto un’occhiata al mio vicino di letto, un signore che ha in mano un piccolo parallelepipedo elettronico, tipo una mattonella, con uno schermo su cui scorre il dito, mi domando cosa sia, anche perché il Game Boy l’hanno annunciato ma non è ancora uscito, io sono informatissimo, leggo sempre le riviste di informatica, Micro & Personal Computer, Bit, Pc Disk, e su List mi hanno anche pubblicato un programma in Basic che ho scritto io, un gioco, e mi hanno fatto i complimenti tutti, a quattordici anni non è da tutti, da grande potrei fare il programmatore. O il programmatore o lo scrittore.

Ma i miei genitori dove sono? Mi tocco la testa e è fasciata, devo averla battuta molto forte cadendo da quel cavolo di Ciao. Tra l’altro un motorino con i pedali per avviarlo, per forza sono caduto. O fai una bicicletta o fai un motorino. Sulla parete davanti al letto è attaccata una tv. A me piace guardare la tv. Non so come abbiano fatto a attaccarla alla parete così, evidentemente c’è un buco dove hanno infilato il tubo catodico. Sembra tipo un quadro, come effetto. Do un’occhiata in giro per vedere se trovo il telecomando. A quest’ora dovrei beccare L’uomo da sei milioni di dollari, oppure Supercar, oppure A-team.

Rieccola, l’infermiera. Con una cartella in mano. Si siede vicino a me. Mi fissa. "Allora, come andiamo?". "Bene, ma i miei genitori dove sono?". "Sua mamma è a Grosseto, in viaggio per Roma". "E mio padre?". L’infermiera mi fissa, non dice niente. Chiedo di nuovo: "E mio padre?". "In che anno siamo?" mi chiede. "1984, che domande. Come l’anno di Orwell. Ha presente Orwell? Ce l’hanno fatto leggere a scuola. Ma non ci è andata così male, che dice?". Mi scruta e scrive sul foglio qualcosa.

"Cosa sta facendo ieri prima di battere la testa?". Le racconto che prima di cadere ero stato al cinema, a vedere un film fighissimo, si intitola Terminator, con l’attore Arnold Schwarzenegger. Anche se a me piace più Silvester Stallone, l’attore di Rambo. Tutti a scuola vogliamo diventare come Rambo, io mi sono anche iscritto in palestra, per avere i muscoli di Rambo, però è faticoso, e Schwarzenegger, devo dire, è molto più muscoloso, ha vinto anche un sacco di concorsi mondiali di culturismo. Film da paura, comunque. Chissà se faranno il seguito. Intanto sulla rivista Ciak, a cui sono abbonato, hanno annunciato un film sui viaggi nel tempo che uscirà l’anno prossimo, si intitola Ritorno al futuro, potrebbe farlo Michael J. Fox, l’attore che fa Alex di Casa Keaton, mio attore preferito. Ecco, io vorrei essere più come Alex che come Rambo. Troppo forte. E vorrei vivere ne I Robinson, una nuova serie di cui ho visto delle puntate su una videocassetta in inglese, il papà è Bill Cosby, il papà che ognuno vorrebbe avere, un uomo perfetto. Anche se amo più mio papà, ovviamente.

Al tizio del letto vicino intanto vibra quel coso che ha in mano, lo avvicina all’orecchio, parla. Da solo, credo. Forse deve aver battuto la testa più forte di me. "Cos’è quell’affare?" chiedo alla tizia infermiera. "Un iPhone, sai cos’è?". Mai sentito dire. Un iPhone. Eppure seguo tutto. Sarà un nuovo giocattolo giapponese. "Ma mio padre? Avete un telefono per chiamarlo?". "Beh…", e si fa cupa. "Arriverà sua madre e…".

Questa infermiera mi ricorda molto Sue Ellen, di Dallas, una serie con cui è fissata mia mamma. Non c’è settimana che mia mamma non guardi Dallas. O Dallas o General Hospital. Ogni tanto Dallas lo sbircio anch’io, perché c’è l’attore Patrick Duffy, che fa L’uomo di Atlantide, una serie che piace a me. Solo che a volte per vedere Dallas non mi fa vedere Drive in, trasmissione spaziale, con Greggio e Gianfranco D’Angelo e il cane Has Findanken e donne con le tette enorme che mi creano un po’ di eccitazione. Meno male che c’è la Fininvest, prima era solo Rai, solo Heidi, solo Dolce Remì, tutti cartoni strappalacrime, due palle.

"Lei che lavoro fa?" mi domanda. Ma è scema? Mi dà pure del lei? È una domanda trabocchetto? Mica sono uno zingaro. Mio papà è direttore di banca, e io vado a scuola, e poi diventerò Rambo, o Alex di Casa Keaton, o uno scrittore. "Dovrei fare pipì" le chiedo. "Ma certo, ti accompagno". Va beh, mi accompagna. Però resti fuori dal bagno. Quant’è bassa, questa infermiera Sue Ellen, sembrava normale ma deve essere una nanoide.

"Ok" fa, "ma lascio la porta socchiusa". E mentre le sto per dire che no, io quando faccio la pipì o la cacca o comunque in bagno voglio essere chiuso, sennò non riesco, figuriamoci con Sue Ellen che sta lì a spiarmi, solo che.. solo che.. mentre sto per dirglielo succede una cosa assurda, una cosa che mi blocca il respiro, perché mi guardo allo specchio e sono alto, veramente alto, e soprattutto ho il viso di mio padre, gli occhi di mio padre, le rughe sotto gli occhi di mio padre. Come un episodio di Ai confini della realtà, la mia serie preferita. Forse sono in un episodio di Ai confini della realtà, ma non si sente la musichetta finale e la voce fuoricampo che dice "…potrebbe capitare anche a voi, un giorno, di trovarvi… ai confini della realtà".

Sono io mio padre? Sono mio figlio? Spalanco la porta, guardo l’infermiera, la fisso negli occhi, le chiedo: "Mio padre, mio padre dov’è?". "Lei ha avuto un ictus, dottor Parente". "Un ictus? Dottor Parente? Mio padre dov’è?".

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