
Il 19 marzo, in Italia e in molte comunità cattoliche nel mondo, si celebra la festa di San Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà, laboriosità e protezione, santo patrono di tutti i papà. Questa ricorrenza, radicata nella devozione popolare, è anche un trionfo di sapori e rituali enogastronomici che trasformano il sacro in un’esperienza concreta, legata alla terra e alla condivisione. Le tradizioni, sebbene varino da regione a regione, specialmente nel Sud Italia, raccontano storie di gratitudine, resilienza e identità, intrecciando fede e cultura del cibo in un patrimonio unico. Le origini di questi riti affondano nel Medioevo, ma trovano una codifica più precisa agli albori dell'era moderna tra il XVII e il XVIII secolo, in particolare in Sicilia. La leggenda narra di una grave carestia durante la quale i siciliani invocarono San Giuseppe, promettendo grandi offerte in cambio della pioggia.
Quando le preghiere furono esaudite, nacque l’usanza delle cosiddette "Tavole di San Giuseppe", altari domestici o pubblici imbanditi con cibo per ringraziare il santo e sfamare i bisognosi. Questo gesto di carità, che annullava temporaneamente le differenze sociali, divenne un simbolo di abbondanza e solidarietà, mantenuto vivo nei secoli.
Al centro della celebrazione c’è appunto la tavola imbandita in onore del Santo, in un’esplosione di colori e profumi: decorata con fiori, candele e immagini sacre, ospita piatti tradizionali preparati senza carne, in rispetto della Quaresima. Protagonisti sono i "pani rituali", retaggio di una Cristianità ancestrale, modellati in forme simboliche come bastoni (omaggio al mestiere di carpentiere), gigli (purezza) o animali (prosperità). Questi pani, benedetti durante la messa, vengono distribuiti ai fedeli come augurio di fertilità e protezione. La preparazione coinvolge intere comunità, con ricette tramandate di generazione in generazione.
Tra i piatti simbolo spiccano sicuramente le "zeppole di San Giuseppe", diffuse soprattutto al Sud: frittelle o dolci al forno farciti con crema pasticcera e marmellata di amarene, spesso guarniti con scorza d’arancia candita. La loro forma circolare richiama l’unità della Sacra Famiglia, mentre la frittura simboleggia la purificazione.
In Sicilia regna poi la "pasta con le sarde", piatto povero, quaresimale, ma ricco di significato, preparato con sardine, finocchietto selvatico, pinoli, uvetta e pangrattato tostato, che ricorda la segatura del falegname.
Le fave, legume sopravvissuto alla carestia, diventano protagoniste in zuppe come la "macco", una purea cremosa. In Puglia, i "virgineddi" – bambini vestiti da santi – bussano alle porte recitando preghiere in cambio di offerte alimentari, poi consumate in pasti comunitari a base di pasta al sugo e ceci.
Ogni regione aggiunge la sua voce a questo mosaico gastronomico. Ancora in Sicilia si preparano i "crispeddi" (frittelle di riso) e gli "sfinci" (dolci con ricotta), mentre in Campania primeggiano zeppole e minestre di legumi.
In Toscana e Lazio si gustano i "bignè di San Giuseppe" (dolce variante delle zeppole) e piatti di baccalà, mentre in Sardegna spiccano il pane decorato e le "seadas", dolci fritti ripieni di formaggio e miele.
Il vino, simbolo di convivialità, accompagna i banchetti: in Sicilia si scelgono il Nero d’Avola o il Cerasuolo di Vittoria, in Puglia il Primitivo, mentre non mancano liquori digestivi come il limoncello o l’Amaro San Giuseppe, infuso di spezie di antichissima ricetta
Oggi, nonostante la modernità, queste tradizioni resistono e si evolvono. Le tavole diventano eventi turistici, come a Salemi (TP) o Vieste (FG), dove le strade si trasformano in gallerie gastronomiche. Le famiglie custodiscono ricette antiche, mentre chef stellati le reinterpretano con creatività. I social e i food blogger amplificano la visibilità di questi riti, attirando curiosi da tutto il mondo. Persino i gesti più semplici, come la distribuzione del pane benedetto, diventano ponti tra generazioni e culture.
Queste tradizioni sono un patrimonio da custodire: raccontano storie di comunità che hanno trasformato la sofferenza in speranza, la carestia in abbondanza condivisa. Come ricorda un proverbio siciliano, “Cu cchiù pani porta, cchiù grazia riporta” (Chi più pane offre, più grazie riceve).
In un’epoca di globalizzazione, reduce dalla pandemia di Covid 19 che provò a spezzare i legami interpersonali e tuttora divisa da crisi e conflitti internazionali, San Giuseppe ci ricorda che il cibo unisce, nutre l’anima e intreccia destini,
proprio come fece Giuseppe, il falegname umile diventato patrono dei poveri e dei padri di famiglia. Le sue tradizioni enogastronomiche non sono solo ricette, ma promesse di accoglienza, eredità fragrante di pane e umanità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.