"My grand-ma and your grand-ma were Sit-tin' by the fire" suona nei titoli di testa, e in una Los Angeles assolata, mentre una Lamborghini Countach rosso fiammante ondeggia a mezz'aria prima di toccare terra e riflettere nel cristallo del suo vetro dalle linee sfuggenti, l'immagine di un tenebroso e giovanissimo Tom Cruise che indossa americanissimi Ray-ban. È il preludio di una pellicola indimenticabile, Rain Man - l'uomo della Pioggia, in cui il bel Tom interpreta Charlie Babbitt, venditore d'auto di lusso poco professionale che ha qualche problema a piazzare quattro Lamborghini arrivate su nave cargo dall'Italia; e un indimenticabile Dustin Offman nei panni del fratello autistico Raymond, prodigio del calcolo matematico dalla memoria portentosa che nutre amore incondizionato per una Buick Roadmaster del '49 che si scoprirà essere stata oggetto della "discordia" di una famiglia americana.
Sebbene la protagonista del film sia quest'ultima, nessuno ha mai dimenticato la sequenza in cui le Lamborghini Countach 500S dell’82 immortalate dalla cinepresa di Levison. Regista raffinatissimo che ci concede il pretesto per raccontare un po' di storia dell’ennesimo mito a quattro ruote fabbricato dalla scuderia di Sant'Agata Bolognese.
Prodotta essenzialmente dal 1973, la Lamborghini Countach venne disegnata da Marcello Gandini, direttore dello stile della Carrozzeria Bertone di Torino, e progettata dall’ingegnere automobilistico Paolo Stanzani - che aveva già dato alla luce le linee inconfondibili della Miura. Unica a non portare un nome legato alla tauromachia - ma all’espressione dialettale torinese per esprimere meraviglia “countach" - riprese alcune cifre stilistiche dell’Alfa Romeo Carabo, come le portiere che si aprono verso l’alto e per il taglio del parabrezza e finestrini laterali, seguendo la futuristica linea a cuneo molto in voga tra i progettisti degli anni ’70, per l’ottenimento di una sportiva estremamente ribassata e spigolosa che enfatizza gli angoli disegnati da Gandini.
Presentata come “Dream Car” nella sua prima versione l’11 marzo 1971 al Salone dell'Automobile di Ginevra, la Lamborghini Countach LP 500 di colore giallo - LP indica la posizione Longitudinale Posteriore del motore 12 cilindri - fece la sua prima apparizione riscuotendo un successo senza precedenti per la casa automobilistica fondata da Ferruccio Lamborghini dopo una discussione avuta con Enzo Ferrari; il quale, invece di accogliere una critica sulla trasmissione nella frizione delle sue 250 TG coupé pervenuta dal magnate dei trattori, lo congedò dicendo che poteva continuare a “occuparsi” dei trattori che era solito guidare, riaccendendo in Lamborghini lo spirito imprenditoriale che l’avrebbe portato a fondare una casa automobilistica in grado di arrivare - grazie alla pieghevolezza dei suoi modelli fuori serie - a competere nel mercato mondiale con le leggendarie Ferrari.
È senza dubbio degno di nota il racconto dell'epoca riguardante la scelta del nome che vale la pena riportare nella sua interezza:“Quando si facevano le macchine per i saloni si lavorava di notte e si era tutti stanchi, e quindi per tenersi un po’ su di morale si scherzava. Lì da noi c’era un profilista, faceva le serrature, alto due metri, con due mani così, che faceva tutti i lavori piccoli. Parlava quasi solo piemontese, non parlava neanche italiano. Il piemontese è molto differente dall’italiano, assomiglia al francese. Una delle sue esclamazioni più frequenti era “countach”, che significa letteralmente peste, contagio, e in realtà viene usata piuttosto come espressione di stupore o anche ammirazione, come “perbacco”. Lui aveva questa abitudine. Quando si lavorava di notte, per tenersi su di morale, c’era uno spirito di fronda, quindi io ho detto, potremmo chiamarla Countach, per scherzare, per dire una battuta esagerata, senza nessuna convinzione. Lì vicino c’era Bob Wallace che montava la meccanica – le macchine le facevamo sempre funzionanti, una volta si poteva entrare nei saloni anche con la macchina in moto, che era una bellissima cosa. Quindi ho chiesto per scherzo a Bob Wallace come suonasse ad un orecchio anglofono. Lui l’ha detto a modo suo, in modo strano. Funzionava. Abbiamo fatto subito la scritta e l’abbiamo appiccicata. Però forse il suggerimento vero è nato da un mio collaboratore, un ragazzo che ha detto, chiamiamola così. Il nome è nato in questo modo. Questa è l’unica storia vera di questa parola”.
Non c'è una vera ragione per cui il regista Barry Levinson, che si aggiudicò ben quattro Premi Oscar (Miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura originale, ndr), abbia scelto delle Lamborghini Countach LP 500S prodotte in soli 321 esemplari tra il 1982 e il 1985 per l'apertura del suo film. Forse era utile a dare un tocco di esotica italianità alla pellicola on the road che traghetta lo spettatore da Los Angeles, a Cicinnati a Las Vegas, mostrando uno spaccato degli States degli anni '80 che apparivano tanto affascinanti quanto esotici a noi altri. Un Paese gigantesco, lontano e in gran parte sconoscito, che nutriva la stessa passione per auto importante, come la Lamborghini e la non essenzialmente bella Ferrari 400i guidata da Cruise, che per auto americane mai viste oltre oceano come quella vecchia Buick Roadmaster del '49, descritta come una "vera cannonata" dai giovani di pianure infinite che non vedevano l'ora di mettere il "culo" sul sedile della macchina del loro vecchio per farsi la prima scorpacciata di libertà. Il risultato appare comunque convincenre e la scelta azzeccata. Quale cifra stilistica d'effetto, che segna la memoria insieme alla colonna sonora Iko Iko (cantata da The Belle Stars sulla base dall'orginale delle Dixie Cups, ndr), che riascolteremo e riconosceremo, sempre in apertura di scena con un adrenalinico Tom Cruise, in Mission Impossible 2.
Al Concorso d’Eleganza di Villa d’Este del 2021 un prototipo della prima Lamborghini Countach - l'originale e unico apparso a Ginevra del '71
venne demolito dopo le prove di crash test - è riapparso dopo una lavoro costato ben 25.000 ore di lavoro. Per lasciare ancora una volta, dopo mezzo secolo, gli amanti di questi prodigi della tecnica italiana a bocca aperta.
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