Se si tratti di un cambio di rotta epocale, come sostiene chi invita i produttori a “pensare in bianco” (Think White), o se, invece, sia un trend legato a una moda passeggera è difficile dirlo. Di certo, tra le novità che stanno emergendo a Vinitaly 2023, in corso a Verona dal 2 al 5 aprile, c’è anche il progressivo arretramento a livello globale dei consumi di vino rosso a favore di quelli frizzanti, dei bianchi e anche dei rosé.
Se da un lato anche nel settore vitivinicolo la parola d’ordine sembra essere diventata sostenibilità, intesa sia in senso ambientale con il forte interesse per il biologico e i metodi naturali, sia in senso sociale, con iniziative come l’etichetta in Braille adottata dall’azienda biologica Castrum Morisci di Moresco, in provincia di Fermo, dall’altro c’è il progressivo scivolamento del mercato verso nuovi trend.
Il declino dei vini rossi
I numeri parlano chiaro: secondo l’osservatorio UIV-Vinitaly sulle esportazioni di vino dai principali paesi produttori, tra il 2016 e il 2022 la quota di vini rossi è passata dal 55% al 44% del totale. Contemporaneamente i bianchi sono cresciuti dal 29% al 33%, i vini frizzanti dall’11% al 15% e quelli rosati dal 5% all’8%.
Cifre utili per inquadrare il mercato, ma che poi passano in secondo piano quando a parlare è ciò che si ha nel bicchiere. In tal senso, con oltre 4 mila aziende presenti da più di trenta nazioni, Vinitaly si conferma anche quest’anno una vetrina dove è possibile incrociare una varietà straordinaria di vini e produttori. Dalle grandi aziende con milioni di bottiglie esportate in tutto il mondo, alle piccolissime realtà con produzioni di poche migliaia di esemplari.
Trentino: tra Ferrari e vignaioli indipendenti
Nessuna sorpresa, quindi, che il Trentino riesca ad offrire da un lato la certezza dei Trento Doc di Ferrari, azienda con oltre 120 anni di storia alle spalle, capace di imporre il proprio stile in Italia e all’estero e di raggiungere quota 7 milioni di bottiglie, e dall’altro sorprese come la piccola azienda agricola Tenuta Maso Corno. Una realtà, quest’ultima, associata alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) e nata una quindicina di anni fa con il recupero di vecchie selezioni clonali di Pinot Nero, che sotto la guida di Giulio Larcher (titolare) ed Enrico Malfatti (enologo) è riuscita a trasformare un terrazzo a 500 metri di quota sopra la Valle d’Adige nella culla dalla quale ricavare spumanti caratterizzati da uno stile unico, più simile a quello degli Champagne che della denominazione trentina. La produzione, in questo caso, si ferma a 40 mila bottiglie all’anno.
La chicca per gli appassionati: il Moscato di Scanzo
Tra le chicche che si possono incrociare a Vinitaly c’è anche il Moscato di Scanzo, piccolissima Docg lombarda della provincia di Bergamo, le cui aziende producono complessivamente 60 mila bottiglie all’anno. Quello di Francesca Pagnoncelli, presidente del consorzio e titolare dell’azienda Pagnoncelli Folcieri, è un vino tanto raro – prodotto in 2 mila bottiglie all’anno – quanto straordinario, capace di regalare una ricchezza aromatica e gustativa senza uguali nel panorama vitivinicolo non solo italiano, ma mondiale. “Si tratta di un passito rosso ottenuto da vendemmia tardiva”, spiega Francesca Pagnoncelli. “Si presta ad abbinamenti classici come quello con la pasticceria secca, ma anche ad accostamenti molto più audaci: formaggi stagionati, piatti di carne, ma anche ostriche”.
Il primo rosé imbottigliato… nelle bottiglie della birra
Per gli amanti dei rosati, invece, l’incontro forse più sorprendente è quello con l’azienda leccese Leone De Castris, prima in Italia a imbottigliare un vino rosé, nel 1943. “A quei tempi l’Italia era divisa in due a causa della guerra e mio nonno, che aveva ricevuto un ordine da degli ufficiali americani, non potendo acquistare bottiglie per il vino perché le vetrerie erano tutte nelle regioni del Nord, sotto il controllo dei tedeschi, si ingegnò riciclando delle bottiglie di birra americane, con le quali imbottigliò il vino tappandole poi con il sughero”, racconta Piernicola Leone de Castris, titolare dell’azienda, che è associata a Federvini. Oggi quel legame con gli Stati Uniti resiste, tanto che il mercato americano è il primo all’estero per l’azienda che, nel frattempo, ha raggiunto quota 2 milioni di bottiglie prodotte.
I nuovi trend: bottiglie di design e tappi a vite
Diverse anche le iniziative a metà strada tra sostenibilità e ottimizzazione delle risorse (e dei costi). C’è quella di Masi Agricola, uno dei più noti e grandi produttori della Valpolicella che ha presentato una nuova bottiglia nata dalla collaborazione con Piero Lissoni, uno dei maestri del design contemporaneo, e Verallia, azienda punto di riferimento mondiale nella progettazione e fornitura di contenitori in vetro. La “Bottiglia Masi”, che ha un peso inferiore del 33% rispetto alla media delle bottiglie dei vini di analogo posizionamento, dà forma alla linea Fresco di Masi, i vini biologici dell’azienda. E poi c’è quella degli Svitati, lanciata da cinque aziende che per il mondo del vino rappresentano altrettanti punti di riferimento, come Graziano Prà, Franz Haas, Jermann, Pojer e Sandri, Walter Massa.
“Ci siamo riuniti per raccontare il nostro modo di fare vino e per spiegare perché abbiamo deciso di tappare le nostre bottiglie con il tappo a vite”, spiega Graziano Prà. “Siamo realtà che curano la precisione fin nei minimi dettagli, scegliamo i vitigni che più ci rappresentano e le uve migliori e siamo convinti che questa sia la soluzione che garantisce il perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche”.
Il futuro del settore: questione irlandese e packaging
Tutto questo senza dimenticare che Vinitaly è anche l’occasione per parlare del futuro del settore vitivinicolo, come ha confermato la presenza in fiera a Verona in questi giorni della premier Giorgia Meloni e di moltissimi membri del Governo. In tal senso, la preoccupazione delle aziende in questo momento riguarda soprattutto due aspetti: la normativa irlandese che stabilisce la nuova etichettatura delle bevande alcoliche e la proposta di revisione della cosiddetta Normativa imballaggi, presentata a fine novembre dalla Commissione Europea, che vuole riformare le modalità di design/produzione degli imballaggi, la loro gestione e lo smaltimento.
Sul caso irlandese, “la Commissione Europea, che ha fatto passare questa normativa con il meccanismo del silenzio assenso, ha sottratto la misura alla discussione, introducendo anche un precedente pericoloso”, protesta da Vinitaly Micaela Pallini, presidente di Federvini. “Il vino non può essere ridotto ad alcol: noi italiani insegniamo che è cultura, convivialità, storia, territorio, alimentazione, con riflessi sull’arte, sul turismo, l’enogastronomia”.
Quanto alla questione imballaggi, la proposta di regolamento prevede dal 2030 l'obbligo del riuso: ciò significa che su 100 bottiglie immesse nel mercato europeo, da 5 a 10 bottiglie dovranno essere riutilizzabili.
“A parte il fatto che le aziende già sono fortemente impegnate su questo fronte, vuoi per ragioni di sostenibilità, vuoi per ragioni economiche,”, prosegue Pallini, con i criteri di progettazione rischiamo di perdere le forme e il design che oggi caratterizzano molti dei nostri prodotti, che attraverso il packaging si presentano ai consumatori e si differenziano gli uni dagli altri per territorio di provenienza, storia, tradizioni”. Più chiaro di così.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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