Baj, l'arte dell'irrisione per sfidare l'ingiustizia

Un ricco percorso di cinquanta opere, incluse le installazioni su apocalisse e funerali di Pinelli

Baj, l'arte dell'irrisione per sfidare l'ingiustizia
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Nella storia dell'arte ci sono opere che hanno il dono dell'universale, ovvero appartengono alla storia ma anche all'assoluto. E le due opere monumentali che da sole bastano a nobilitare la grande mostra che Palazzo Reale dedica al centenario di Enrico Baj, fanno parte di questa categoria; L'Apocalisse, installazione realizzata tra il 1978 e il 1983, e i Funerali dell'anarchico Pinelli del 1972, sono la rappresentazione contemporanea di quella letteratura della catastrofe che viaggia nei secoli attraverso i Trionfi della morte medievali, l'Inferno dantesco, la Nave dei folli di Hieronymus Bosch e, ovviamente, il Guernica di Picasso. «In un'epoca catastrofica come quella attuale, dominata dalle guerre e dalla pulsione di morte, queste opere di mio marito hanno più senso che mai», dice la vedova Roberta Cerini Baj, guardando l'allestimento di quelle «Babele» popolate da sagome minacciose ma grottesche, vera e propria summa di un bestiario di ultracorpi metafora artistica di un pericolo imminente. I Funerali - tornati nella Sala delle Cariatidi a 52 anni dalla prima clamorosa esposizione e 12 anni dopo la loro ultima apparizione proprio a Palazzo Reale - con Guernica hanno un fil rouge evidente quanto indissolubile, suffragato anche dalla presenza di opere volutamente picassiane. «Mio marito rimase folgorato da quell'opera-manifesto; ma prima che venisse esposta a Palazzo Reale nel '53, ne era già a conoscenza quando, rifugiato a Ginevra durante la guerra, era pienamente immerso nell'arte delle avanguardie europee». Fu proprio Guernica, di cui Baj realizzò nel '69 un'ironica rivisitazione a grandezza naturale, a trasformare il suo mondo grottesco in un esercito militante contro le ingiustizie di una società già allora lacerata da conflitti politici e dalla guerra fredda. Nella sua Apocalisse critica del 1979, Umberto Eco sottolineava come quell'opera segnasse «un passaggio, e non è un caso che l'operazione venga condotta nel clima acceso di politicizzazione di quegli anni». La vedova Baj ci svela un piccolo segreto: «Quando Enrico realizzò il suo Guernica a grandezza naturale, che era largo quasi otto metri, fu costretto a dividerlo in quattro pannelli e le giunte erano ahimè evidenti. Mentre lavorava ai Funerali, il suo gallerista Giorgio Marconi venne nello studio che divideva con Ugo Nespolo in via Gabba, per la curiosità di sapere come se la sarebbe cavata con quella nuova opera monumentale. Enrico lo sorprese con un'installazione a puzzle, dove ogni pezzo e ogni figura erano autonomi e si incastravano in modo invisibile».

Nella magnifica mostra a cura di Chiara Gatti (catalogo Electa e allestimento Unifor), L'Apocalisse e i Funerali sono i contrappunti di un percorso di cinquanta opere scelte che attraversano l'intero immaginario di un artista che all'inizio degli anni '50 diede forma alla sua critica anti-borghese con una rivoluzione estetica che prescindeva sia dal realismo, sia dalle astrazioni materiche o liriche dell'Informale e dello Spazialismo. Baj e il compagno d'avventura Sergio Dangelo lo avevano ribattezzato «Movimento nucleare», con tanto di manifesto che voleva «abbattere tutti gli ismi di una pittura che cade inevitabilmente nell'accademismo» e che intendeva «reinventare la pittura ripartendo da zero». Quel manifesto, in realtà, a detta dello stesso Dangelo, nasceva come «una stupidaggine fatta al momento da due ragazzini». Ma i riferimenti all'atomo e all'automatismo - che avevano legami sia con le degenerazioni della scienza sia con un'arte che voleva mettere in primo piano l'istintività dell'azione - nel caso di Baj diedero vita ad un linguaggio nuovo e autonomo in cui «disintegrare le forme dell'uomo facendole coincidere con quelle dell'universo». Il risultato furono i suoi «ultracorpi», creature espressione della patafisica, «scienza delle soluzioni immaginarie».

Sul piano rappresentativo, le dieci sezioni della mostra a Palazzo Reale ben illustrano il passaggio da una concezione giocosa (ma mai superficiale) dei suoi collage plurimaterici a una fortemente critica e antimilitarista; come la serie dei generali, tiranni di fango e di pezza emblema di un mondo volgare, direbbe Calvino, «da cui prendere le distanze e magari irridere in maschera».

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