La fine del tabù Bitcoin

Intesa San Paolo acquista 11 bitcoin, aprendo uno spiraglio alla moneta virtuale osteggiata dalla banche

La fine del tabù Bitcoin
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Nei giorni scorsi si è saputo che uno dei due maggiori istituti di credito italiani, Banca Intesa San Paolo, ha comprato 11 bitcoin. L'investimento è modesto e quindi si potrebbe tranquillamente ignorare la cosa. In realtà, però, siamo dinanzi alla fine di un tabù e all'aprirsi di un orizzonte inedito.

Considerando che uno degli obiettivi dei bitcoin consiste proprio nell'evitare l'intermediazione bancaria, dal momento che due proprietari di criptomonete possono operare trasferimenti monetari diretti da un indirizzo all'altro, c'è da chiedersi come mai l'istituto bancario italiano così come già altri un po' ovunque abbia deciso di entrare in questo mondo. Sembra tornare d'attualità la formula di Lenin, che un giorno affermò che i capitalisti gli avrebbero venduto la corda con quale li avrebbe impiccati.

Il dato essenziale da cogliere è che le banche commerciali sono dinanzi a un bivio: da un lato sanno bene che il successo della creatura di Satoshi Nakamoto può essere pericoloso

per i loro affari; e al tempo stesso comprendono che ignorare questo universo e lasciarlo interamente in mano ad altri significa perdere troppe opportunità.

L'America fa a sé, perché lì lo scenario forse sta cambiando, se la politica obbligherà la banca centrale a modificare la sua strategia. Ma nel resto del mondo e specialmente in Europa i gestori delle monete di Stato avversano i bitcoin perché temono la fine del monopolio valutario e di quella costante manipolazione dell'economia che essi sono in grado di realizzare. Da parte loro, invece, le banche immaginano di poter fare da strumento di «mediazione» tra l'universo tecnologico dei bitcoin e il risparmiatore. Infatti quest'ultimo può saltare gli istituti di credito o altre realtà analoghe soltanto se possiede talune competenze ed è in grado di gestire da sé il suo portafoglio.

Se le cose stanno così, ed in Europa è proprio questa la situazione, si annunciano tensioni crescenti tra le banche centrali e quelle commerciali, che non vorranno lasciarsi sfuggire la possibilità di trovare un proprio spazio anche nel nuovo mercato finanziario.

Ovviamente quanto ogni giorno ci viene detto dai banchieri centrali e da chi gestisce gli istituti di credito ha poco a che fare con la realtà. Quanti sono nel board della Bce sostengono che il bitcoin vada osteggiato perché è una moneta volatile, non garantita dai governi, che tende a sfuggire ai controlli dei regolatori e può essere utilizzata pure dai criminali. Qualcuno tra i membri della classe politica e non solo arriva perfino a equiparare il bitcoin alla celebre truffa ordita da Charles Ponzi all'indomani della Prima guerra mondiale.

È vero che in questa fase della sua (ancor breve) storia, il bitcoin soddisfa bene soltanto una delle tre funzioni classiche della moneta: non è

eccezionale quale mezzo di scambio e tanto meno come numerario, ma come strumento di capitalizzazione oggi non ha rivali. È difficile immaginare che quanti sono alla guida delle banche possano davvero ignorare tutto ciò.

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