
nostro inviato a Roma
Achille Lauro, chi sono per lei i Comuni mortali?
«È un'espressione che racchiude ciò che siamo tutti, umani, fragili, insomma uguali».
L'ha usata come titolo del suo nuovo disco.
«Che ha come filo conduttore Roma, città amica, nemica, amante».
E anche teatro della sua vita spericolata.
«Sono stra-grato alla mia vita spericolata perché ora conosco entrambi i lati della medaglia. Ma questo disco parla di me che sono diverso, più cresciuto».
Achille Lauro parla sulla bella terrazza dell'Hotel Valadier a due passi dalla scalinata di Trinità dei Monti dove un paio d'ore dopo si sarebbe esibito (quasi) a sorpresa. E parla alla sua maniera, torrenziale, trovando in ogni parola lo spunto per farne fiorire altre. Obiettivamente non c'è nessuno come Achille Lauro oggi in circolazione, per lo meno qui in Italia, nessuno che sappia mescolare la periferia con gli stilisti o il glam rock con le canzoni alla mamma e che si mostri in copertina di fianco a una farfalla che rappresenta «gli spiriti che vengono a trovare i vivi». Un miscuglio di sensibilità, un vero e proprio dedalo nel quale è difficile, alla fine, trovare un filo conduttore. Però funziona, magari più nella percezione collettiva che in classifica, ma in fondo questa è la ricetta per durare davvero nel tempo. In poche parole, Achille Lauro è uscito soltanto settimo dall'ultimo Festival di Sanremo (verdetto fischiato dall'Ariston) ma è primo nelle tendenze e nella popolarità perché basta vedere l'entusiasmo dei circa duemila che si sono radunati sotto la pioggia in Piazza di Spagna attendendo il suo minishow. Non c'erano soltanto ragazzini/e urlanti, anzi, c'erano tutte le generazioni e non capita così spesso sotto un palco pop, tanto più mentre piove e fa freddolino. «Avrei voluto foste centomila» urla lui sulla scalinata più famosa del mondo. Non è sdraiato «a terra come i Doors», è «vestito bene» ma forse non «Michael Kors» però canta la sua Rolls Royce accettando ciò che è ormai diventata, ossia il suo cavallo di battaglia che può essere dilatata, deformata, chiacchierata intanto è così conosciuta che tutti l'applaudono. E in effetti c'è un nuovo Achille Lauro in città (Roma) che però vale per tutti, anche per chi abita fuori e che, comunque, se lo ritrova con un'altra luce negli occhi e nella voce, quasi fosse un'araba fenice che risorge dalle ceneri di vecchie ambizioni perché ne ha trovate di nuove: «Io ho l'ossessione dell'ambizione» dice con un cappottone nero aperto sulle spalle prima di ordinare tequila.
Qual è quella nuova?
«Non mi interessano più il gioco dei numeri o della canzone pronta per l'estate, mi interessa lasciare qualcosa a chi è più giovane di me. Oggi si dice spesso che il pop sia di poco contenuto, che sia pieno di plastica, eppure penso che questo mio disco sia impattante, difficile da capire, anche sofferto».
Cristina è dedicata a sua mamma.
«L'ho scritta in dieci minuti e mia mamma (Cristina Zambon, ndr) la ascolterà soltanto quando uscirà il disco. Io non ho detto ai miei che avrei voluto fare il cantante, l'hanno scoperto solo leggendo un inserto di Repubblica. Il verso centrale Ce l'hai fatta, è il nocciolo di tutta la canzone. Ce l'ho fatta a diventare cantante».
Vuole anche diventare padre?
«So cosa voglia dire avere una relazione molto lunga ma so anche stare da solo. Mi piacerebbe tanto avere un figlio, ma ho tante cose in testa e, soprattutto, devo esserne davvero convinto. Insomma, non voglio cadere nella trappola del voglio fare un figlio perché ho 35 anni.... La mia libertà è talmente tale... (dice proprio così, ndr). Ci si può anche incontrare per una notte e basta».
Vita spericolata.
«Io conosco bene la periferia e sono stato fortunato perché ho scoperto che cosa mi piacesse. C'è chi, in periferia, arriva a 35 anni senza sapere più cosa fare, cosa dire, come vestirsi, e quindi si perde per strada».
La sua strada la porta al Circo Massimo di Roma, due concerti, il 29 giugno e l'1 luglio.
«È come se fosse il mio primo concerto vero, voglio che il pubblico torni a casa esausto a livello emotivo e perciò stiamo lavorando come matti».
Nel disco c'è il brano Amor.
«Di solito si dedicano le canzoni agli amori finiti, questa vorrei si dedicasse ai grandi amori ancora in corso. A dire il vero, questo è un disco di dediche: a mia mamma, ai grandi amori, ai miei amici».
Dice «ho tante cose per la testa». Anche provare il successo all'estero?
«Cavolo, mi piacerebbe che la mia musica si confrontasse con quella straniera. Ho inciso il disco anche tra la California e New York, il pezzo Dannata San Francisco è nato mentre eravamo nel deserto e ci siamo detti ecco siamo proprio dentro la canzone, una cosa alla Red Hot Chili Peppers. Quindi farei un disco in inglese, magari un solo singolo. Negli Usa i grandi produttori sono rimasti impressionati dalla mia Rolls Royce, pensano sia il cavallo pazzo dell'Europa, anche Yungblud dice che ha amiche che sono pazze di me».
Perché intanto non manda un brano a Mina?
«Non l'ho ancora mandato ma ce l'ho pronto ed è pure molto bello».
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