A distanza di una settimana dalle improvvise dimissioni del patron della Luxottica dal cda delle Generali, Leonardo Del Vecchio ha chiarito meglio il suo gesto. «No, no, no - ha detto ieri dopo il board della Luxottica che ha approvato il bilancio 2010 - non c’entra niente Geronzi, anche perché non è che conti molto ormai. È senza potere, non ha nessun potere». E poi: «Geronzi sarà antipatico a tanti, può darsi, ma in questo caso non c’entra».
Frasi secche che, in condizioni normali, avrebbero avuto tutto il loro effetto negativo nei confronti del presidente delle Generali. Invece, dette in questa fase di forte scontro all’interno del consiglio della compagnia, assumono ben altro significato: dopo i ripetuti attacchi di Diego Della Valle, consigliere di Generali, che ha definito Geronzi «vecchietto arzillo» e ne ha criticato aspramente le ultime dichiarazioni imputandogli di voler imporre alla società scelte politiche che non gli competono, le dimissioni di Del Vecchio sembravano stare esattamente in quel solco. Invece non è così: «Non ero in grado di incidere nelle decisioni strategiche aziendali - ha detto l’imprenditore veneto - e quindi non ritenendomi in grado di incidere, la cosa più naturale che si possa fare, anche se non è di moda, è dare le dimissioni. Ho una visione della gestione aziendale fatta in un modo diverso».
Nel merito, Del Vecchio non ha voluto dire a quali operazioni facesse riferimento il suo disappunto. Ma si è appreso in questi giorni che non sono state gradite né alcune scelte immobiliari (di cui Del Vecchio è grande conoscitore), né l’investimento da 200 milioni nella banca russa Vtb. «Il management delle Generali - ha aggiunto - è ormai diventato il capoazienda. Sono loro l’azienda ormai, non è che possano scaricare la colpa sugli altri. Hanno il potere e la possibilità di fare quello che decidono di fare». Dunque, al di là del ruolo di Geronzi, il messaggio è riferito al group ceo Giovanni Perissinotto. Inserendosi nella scia di altre critiche eccellenti, a partire da quella di un altro socio industriale, Francesco Gaetano Caltagirone. Ma cosa significa questa ultima puntata delle baruffe triestine?
Capita che intorno alle Generali, unica multinazionale finanziaria di livello mondiale, si stia scatenando una nuova battaglia. Il controllo della compagnia è assicurato da un gruppo di azionisti privati raccolti intorno a Mediobanca, che da sola ne controlla più del 13%. Geronzi ne è il presidente da aprile, proveniente dalla stessa Mediobanca. Con un ruolo, quindi, di garante della stabilità dell’azionariato, anche a fronte di possibili appetiti ostili. Un compito che Geronzi ha ereditato, in fin dei conti, da Enrico Cuccia, il fondatore di Mediobanca scomparso nel 2000, che aveva passato gli ultimi decenni della sua vita proprio a mettere in sicurezza il Leone.
L’arrivo di Geronzi a Trieste è però stato vissuto da qualcuno, sia nel management sia tra i soci, come una minaccia all’autonomia del gruppo: la fama di Geronzi, navigato uomo di potere e relazioni, è stata interpretata più come una pericolo che come un’opportunità. E pur non avendo il banchiere romano alcuna delega operativa, come è sempre stato sia in Mediobanca, sia in Capitalia, la sua esclusione dalle cose della società è divenuta quasi un’ossessione, creando un solco via via maggiore nel cda. In questa situazione un imprenditore di successo, in Italia e all’estero, quale Della Valle, ha posto la questione del ringiovanimento delle logiche del capitalismo nazionale. Nel nome del mercato globale e senza vincoli che non siano quelli della redditività, portando un attacco alle «operazioni di sistema» tanto care a Geronzi.
Un proposito affascinante, ma forse ancora acerbo per essere tradotto in cambiamenti concreti. Soprattutto perché nessuno tra i soci, a partire dalla stessa Mediobanca, può giurare sulla certezza che le «operazioni di sistema» debbano definirsi estranee al primo gruppo finanziario nazionale. Specialmente in un momento in cui la crisi continua a mordere. Che poi l’intento di Della Valle, oltre che sul piano del ricambio generazionale, sia riconducibile anche a una logica di potere, legata anche al particolare momento di debolezza attraversato dalla politica e dal centrodestra in particolare, è un altro tema intorno al quale potrebbe svilupparsi la battaglia di Trieste.
In ogni caso, specie dopo le precisazioni di Del Vecchio, il peso delle responsabilità dell’andamento della compagnia pesa più di prima sulla spalle di Perissinotto.
L’ad del gruppo, che prima della riforma della governance divideva il comando con Sergio Balbinot, da allora è divenuto group ceo; e le recenti precisazioni sulla gestione delle partecipazioni strategiche, che spettano solo a lui, ne
hanno ulteriormente rafforzato il ruolo e le responsabilità. Togliendo ogni residuo alibi rispetto al ruolo svolto dal presidente. Anche su questo si svolgerà nei prossimi mesi il confronto tra i grandi soci di Generali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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