Roma - «Bisogna rivedere le leggi sui termini di custodia cautelare: subito». E poi, quando l’intervista sta per chiudersi, Gianni Alemanno dice due frasi chiave sulla sicurezza che insieme possono spiazzare. Una suona molto di destra: «È ora di separare i buoni dai cattivi». E l’altra molto di sinistra: «In questi mesi l’ho visto con chiarezza: non ci sono alternative. Va rotta, nella comunicazione e nell’immaginario collettivo, l’equazione - profondamente sbagliata - fra immigrati e delinquenti». Alemanno è nel suo studio del Campidoglio, in un pomeriggio turbinoso: sulle agenzie rimbalzano notizie di cronaca sul rogo di Nettuno. L’intervista con il sindaco che ha vinto la sua campagna promettendo più sicurezza non può che partire da lì.
Sindaco, cosa pensa degli sviluppi del delitto compiuto contro il ragazzo indiano?
«È stata una cosa barbara, questo l’ho già detto. Il fatto incomprensibile è un altro».
Quale?
«Per lo stupro alla fiera di Roma l’imputato reoconfesso, era ai domiciliari dopo sole 48 ore. A Guidonia a due fiancheggiatori hanno goduto dello stesso beneficio dopo tre giorni! È folle».
E questo cosa le fa pensare?
«Ai tempi. La certezza della pena è ormai un problema decisivo, su cui ci giochiamo la nostra credibilità di classe dirigente».
È preoccupato?
«Si crea un pericoloso circuito... emulativo. Se si può violentare una donna e tornare a casa tranquilli, chiunque progetta delitti, lo fa senza temere conseguenze: tre segnali negativi in uno».
Gli altri due?
«Le vittime penseranno che non c’è possibilità di giustizia. Le forze dell’ordine che il loro faticoso lavoro di inchiesta viene vanificato dalle scarcerazioni facili. Non solo...».
Cosa?
«Trovo sconcertante un dettaglio, a ben vedere decisivo: gli stupratori, ma anche i giovani piromani, hanno agito sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e alcol. E addirittura per lo stupratore di Roma questa è stata considerata un’attenuante».
Lei non condivide?
«Per me è il contrario: se perdi il controllo e fai danni irrimediabili, se aggredisci persone, il tuo stato di alterazione non è un’attenuante. Ma un’aggravante!».
Cosa bisogna fare?
«Serve una revisione della legge, al più presto, se non un decreto. Appoggio e condivido la petizione lanciata da alcuni deputati Pdl: Piso, Saltamartini, Sammarco Lorenzin. Ma non basta».
Cosa si può fare di più?
«Chiedere alla magistratura, nel rispetto della sua autonomia, di aprire una riflessione su come si applicano i codici. In casi come questi si possano dare intepretazioni più restrittive».
Lei è stato criticato dalla sinistra per la sua campagna elettorale sulla sicurezza.
«Rispondo con una domanda».
Prego.
«Lei lo sa chi è il primo sindaco che ha messo piede nel campo Rom Casilino 900, uno dei più degradati?».
(Azzardo). Veltroni?
«No. Mai avvistato in zona. Ci sono andato io, per ben tre volte, in questi pochi mesi».
E il risultato?
«Ho verficato ciò che Veltroni fingeva di ignorare. Si nascondeva la polvere sotto il tappeto. E la gente viveva in discariche a cielo aperto».
Scavalca Veltroni a sinistra?
«Queste categorie non c’entrano. Ho detto, in campagna elettorale, che servivano insieme disciplina e solidarietà. Bene, per arrivarci, lavorare per separare i buoni dai cattivi. Superare i preconcetti ideologici».
Ad esempio?
«Se dico facciamo l’anagrafe dei Rom la sinistra mi accusa di fare schedature di tipo poliziesco. Faccio un esempio: c’è un apolide, coi documenti scaduti della ex Jugoslavia? Glieli dobbiamo dare nuovi. Dobbiamo sapere chi sono, se vogliamo il rispetto delle regole. Le faccio un’altra domanda...».
Prego.
«Lei lo sa chi è il primo sindaco di Roma che ha siglato un accordo con la comunità Rom?».
(Provoco)... Veltroni?
«Nooo... Io. E ora portiamo servizi igienici e luce nei campi, con la collaborazione tra Comune e Rom. E poi facciamo villaggi di accoglienza attrezzati, per evitare che il degrado si espanda nei non-luoghi, ma è necessario allo stesso tempo espellere dal territorio italiano tutti coloro che hanno commesso reati e che non hanno le condizioni legali per rimanere in città».
Ha cambiato il suo modo di vedere gli immigrati?
«No. Ho sempre detto che se c’è disciplina c’è integrazione: mai ceduto alle demonizzazioni».
È una polemica con la Lega?
«Non voglio fare polemiche».
Ma da dove arriva tutta questa violenza, secondo lei?
«C’è un incrocio fra tre fattori. La cultura dello sballo, l’idea della violenza vissuta come uno strumento ludico, lo scenario di degrado che trasforma i disperati: ora in vittime, come nel caso di Navtej, ora in assassini, come nel caso dei romeni».
Ma si possono risolvere?
«Cancellando i
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