Una bellissima partita a tutto Totti

Impossibile non commuoversi alle ultime sequenze, all'epilogo di una vicenda sportiva e umana del campione, uno dei più grandi calciatori della nostra epoca

Una bellissima partita a tutto Totti

Impossibile non commuoversi alle ultime sequenze, all'epilogo di una vicenda sportiva e umana del campione, uno dei più grandi calciatori della nostra epoca, accompagnato all'addio dalle note di Claudio Baglioni: «E chissà se prima o poi, se tu avrai compreso mai, se ti sei voltato indietro...». In gergo tecnico si direbbe «paraculata», di cui peraltro straborda Mi chiamo Francesco Totti, il documentario diretto da Alex Infascelli, il quale tra cinema, tv e videoclip ha fatto di tutto, confermandosi tra i più efficaci artigiani nel senso positivo del termine. La voce del capitano giallorosso accompagna quarant'anni di storia, le vacanze al mare, i primi calci nel cortile della scuola, il provino alla Roma, il destino che lo aspetta legandolo per sempre alla sua città e alla sua squadra.

Per chi ama il cinema sportivo e in particolare le storie di calcio, il biopic su Totti risulterà delizioso, anche se il suo tifo si dirige altrove. Alcuni escamotages del regista sono davvero indovinati: appunto la voce off con l'inconfondibile accento e il lessico semplice. Per altri sarebbe stato un limite, Totti invece lo estremizza e lo trasforma in stile. Le inquadrature in controluce del campione, che lo rendono figura ancor più eroica, un gladiatore antico eppure contemporaneo, i primi piani del suo interessante viso e le immagini di Roma struggenti e romantiche, oltre naturalmente ai gol più belli, ai compagni, agli allenatori. Tanti gli episodi che ci rimandano al tempo in cui gli stadi erano pieni e si godeva e si soffriva, non come ora che sembra di stare in un acquario e chissà ancora per quanto. Tra questi, la tenacia con cui si è ripreso dal grave infortunio per partecipare ai Mondiali, la trasformazione in straordinario attore della commedia all'italiana anche nel regale e popolaresco matrimonio con Ilary Blasi, il difficile rapporto con Luciano Spalletti (mai chiarito il vero motivo della loro frattura), il calcione rifilato a Mario Balotelli in una finale, persa, di Coppa Italia. Con relativa espulsione, tanto per ricordare al ragazzino arrogante che con un imperatore non si scherza.

Certo, emerge dal racconto ciò che in parte si sapeva, ma che qui è ulteriormente ribadito. Francesco e Roma sono uniti in un solo destino. Talento tra i più completi - classe, potenza, visione di gioco, leadership e fiuto del gol come un attaccante puro - se Totti a un certo punto avesse scelto un'altra squadra (il Real Madrid lo voleva, Manchester United e Milan anche) probabilmente avrebbe oscurato altri miti più conclamati. E invece Totti è Roma e non solo la Roma, mentre il suo maggior competitor Alessandro Del Piero era la Juve ma non Torino. Totti è una pittura barocca, un tramonto al Pincio, il venticello sul Prenestino, i rigatoni con la pajata e il traffico impazzito. Se avesse giocato da qualche altra parte, avrebbe vinto molto di più e invece si è dovuto accontentare appena di uno scudetto e di un mondiale nemmeno da protagonista.

Peraltro quando parla delle partite più importanti, cita solo il derby con la Lazio, perché a Roma conta quello, sopra ogni altra cosa. Altrove si direbbe provinciale, a Roma no perché Roma è la capitale del mondo, soprattutto per chi sposa un destino.

Il voto è lo stesso della sua maglietta.

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