Minorenni e social: "Vietarli ai minori di 13 anni", "La soluzione è l'educazione"

Il dibattito sull'utilizzo dei social media da parte dei minori è sempre più acceso e c'è chi vuole limitarne l'accesso. Ne parliamo con il Dott. Giuseppe Lavenia presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche

Minorenni e social: "Vietarli ai minori di 13 anni", "La soluzione è l'educazione"

È notizia di questi giorni che Carlo Calenda e Azione intendono presentare in parlamento una proposta di legge che mira a regolamentare l’accesso dei minori ai social media. Ispirandosi al modello francese, l’intento è quello di proibire l’uso dei social ai minori di 13 anni. Per coloro che hanno tra 13 e 15 anni, invece, si propone l’introduzione dell’autorizzazione genitoriale.

Il tema è variegato e complesso e per fare luce abbiamo raggiunto il Dottor. Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche

Giuseppe Lavenia

Dott Lavenia partirei dalle dichiarazioni di Calenda che dice: “serve una legge che vieti i social ai minori di 13 anni, e solo consenso tra i 13 e i 15. I ragazzi stanno 5 ore al giorno sui social network e aumentano le malattie alimentari e comportamentali”. Esiste davvero una correlazione tra accesso ai social network e questi disturbi?

"Ci sono dei dati chiari che correlano un utilizzo assiduo dei social e il peggioramento della salute mentale e fisica dei ragazzi. In primis si crea una immagine distorta del corpo. Una ricerca condotta dal sito bulimia.com ci dice che il 50% delle immagini online che rappresentano il fisico sono irrealistiche, ritoccate o false. È chiaro che nel momento in cui un adolescente si identifica in un ideale irraggiungibile cercherà poi di imitarlo, per cui proporrà online una versione perfetta di sè e contemporaneamente avrà paura a uscire dal mondo virtuale. Si crea la paura di mostrarsi con le proprie imperfezioni.
Non dobbiamo però pensare che sia un problema solo degli adolescenti, già i bambini neonati tendono a essere svezzati con lo smartphone. Ricerche dicono che i bambini, esposti ad uno schermo passivo nei primi 24 mesi per 1.30h al giorno, hanno il 45% in più di possibilità di sviluppare un disturbo della socialità già 5 anni. A 10 anni invece, abbiamo 7 volte il rischio che si generi un disturbo dell’attenzione o iperattività (ADHD). La correlazione di cui parla Calenda esiste ed è sotto i nostri occhi".

Alla luce di tutto questo basta davvero una legge? O dobbiamo intervenire in modo diverso?

"Lo dico chiaramente, la legge fatta così non serve a nulla. Sono contento però che Calenda metta il tema sul piatto ma la norma di per se non è attuabile. Sono divieti facilmente aggirabili, non si può oscurare internet e a volte sono gli stessi genitori che mettono in mano il telefono ai figli fin dall’infanzia. Gli interventi che servono sono altri e noi come Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche li promuoviamo ogni anno grazie a una giornata nazionale sul tema. Le nostre sono delle proposte concrete, la prima è l’introduzione dell’educazione digitale nei bilanci di salute. Questo cosa vuol dire? Se mi nasce un bambino e vado dal pediatra è lui in primis che mi fornisce le informazioni sui rischi dell’esposizione prolungata di un bambino ad uno schermo passivo. Molti genitori non conoscono i danni che può fare il mettere in mano a un infante uno smartphone o un tablet senza regole. Creiamo una generazione che non sa reggere la frustrazione perché qualsiasi problema viene immediatamente risolto mettendo loro davanti a uno schermo. Non c’è più la capacità di attendere. Prima di creare consapevolezza nei bambini va creata nei genitori".

Tornare a dire no dunque…

"Esatto. Nel 2022 con la nostra associazione abbiamo fatto una ricerca che ha coinvolto più di 13mila famiglie. I dati ci dicono che già a 3-4 anni i bambini fanno uso regolare di smartphone. I primi a opporsi all’uso dei social devono essere i genitori non una legge. Il paradosso è che, come associazione privata, investiamo soldi e tempo per creare una giornata sulle dipendenze tecnologiche. Lo facciamo come privato e lo stato non si accorge che c’è un problema enorme. Abbiamo aperto anche una clinica a Lucca che tratta questi disturbi e siamo pieni. Non abbiamo dati pubblici e l’unico database che abbiamo è creato da noi come onlus. Calenda ne parla, proponendo una legge utopica, ma fa bene perché il problema deve arrivare all’attenzione delle istituzioni".

di te

Nell’immaginario collettivo il peggior rischio sui social per i bambini sembra essere il mostro, quello che ti porta a un incontro non voluto tramite chat. Qual è invece il vero rischio che corrono gli adolescenti e i ragazzi?

"Sicuramente ci può essere il mostro e i casi di pedofilia sono aumentati con l’online. Ma il vero rischio è più globale, noi lasciamo i nostri ragazzi a contatto con il mondo esterno senza filtri. Io ho dei casi di adolescenti che riescono a comprare droga su telegram senza alcuna difficoltà. Nessuno manderebbe un bambino alle 2 di notte in giro per la città e noi, dando internet senza regole, esponiamo i ragazzi a rischi senza proteggerli. Inoltre, ogni volta che metto un bimbo davanti allo schermo sto creando uno stimolo continuo che avrà sempre bisogno di essere soddisfatto. Mettiamo, per esempio, la mezzora in macchina per andare a trovare i nonni, lui la vivrà come una angoscia a meno di non avere in mano uno smartphone o un tablet. Una generazione che nasce e cresce con il “terrore del vuoto”. Un meccanismo che ha sempre bisogno di attivazione, mi sento di dire che è lo stesso meccanismo della tossicodipendenza. La vera sfida è l’educazione dal basso che coinvolga tutti gli aspetti della vita, dobbiamo mettere in mano strumenti efficaci ai nostri ragazzi. Coltello e forchetta per “cucinare” l’informazione senza filtri alla quale vengono esposti".

Prima o poi però un ragazzo dovrà approcciarsi ai social, questi fanno parte del nostro mondo e non possono essere esclusi. Che consiglio si sente di dare a un genitore che si trova davanti a una situazione del genere?

"Stabilire delle regole con un ragazzo. Devo riuscire a essere un adulto consapevole che si prende cura del figlio. Una volta raggiunta l’età giusta tocca fare un patto con il proprio figlio con regole chiare. Non possiamo esporre a un rischio un ragazzo senza accompagnarlo, devo informarmi come genitore e stare al passo con i tempi per dare il senso alle cose e strumenti per affrontare il mondo online".

Se fosse lei a proporre una legge?

"Vorrei l’educazione digitale a scuola e il patentino digitale. C’è un motivo se l’automobile puoi guidarla a 18 anni e dopo una esame. Il cellulare non è meno pericoloso di un’auto e puoi sbattere pure prima.

Vuoi lo smartphone? Mi dimostri che sei in grado di utilizzarlo. Non bisogna mettere i ragazzi in una ampolla di vetro ma esporli al rischio al momento giusto e con gli strumenti per affrontare il mondo che li circonda".

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