RomaI più si mettano il cuore in pace. Perché da novello portavoce, di un dissenso interno che il Cavaliere dovrà accettare, Gianfranco Fini non metterà mai la museruola. E non se ne andrà certo dal Pdl, il co-fondatore, se non fosse costretto a dire bye-bye. Ipotesi che, sotto sotto, pure qualcuno dei suoi auspica: «Non abbiamo nulla da perdere e il nostro seguito è tale da poter portare avanti con forza la battaglia politica, logorando, se serve, il capo del governo». È una minaccia da prendere sul serio? Chissà. Per ora, da valutare sono i paletti in chiaro («È arrivato il momento di giocare a carte scoperte»), fissati dal padrone di casa nella prima riunione di corrente - ormai si può dire - tenutasi ieri alla Camera. Archiviata con parecchi distinguo e malumori contro le fughe in avanti di Bocchino, Urso e Granata, e la sottoscrizione (più di cinquanta le firme di deputati e senatori) di un blando ordine del giorno - fotocopia, o quasi, del documento redatto sabato scorso dai 14 senatori ex An capitanati da Augello e Viespoli - che verrà presentato domani in direzione nazionale.
Ma andiamo al verbo. «Non ho nessuna intenzione di togliere il disturbo - attacca linquilino di Montecitorio - né tantomeno di stare zitto. Voglio poter dire le cose che penso senza essere accusato di tradimento e spero che Silvio Berlusconi accetti il legittimo dissenso». Si sa, «ci sono punti di vista diversi tra me e il premier», ma se dallassise di via della Conciliazione «usciremo con unampia maggioranza sul suo documento» oltre che «con una pattuglia minoritaria in polemica con essa, significa che ci sarà stato un confronto aperto». E a quel punto, dato che «lo schema 70-30 è finito, comincerà una fase nuova, chi avrà più filo da tessere tesserà e sarà il momento della verità», pur rimanendo garantita la lealtà al governo e il no a nuove elezioni. Si vedrà, quindi, «se siamo un partito in cui si discute liberamente o se siamo il partito del predellino, in cui tutti devono essere daccordo e dire che va tutto bene». E ancora: «È un bene che sia stato convocato il congresso, ma la prima direzione in un anno ci deve far riflettere». Per capirci: Fini continuerà ad essere la spina nel fianco e senza rinunciare alla carica istituzionale. Daltronde, «ci sono dei momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio e decidere se si è disposti a rischiare per le proprie idee». Una citazione (Ezra Pound) funzionale al richiamo allazione: «Questo è il momento» per agire, anche se si apre una «fase complicata». Ma tantè: «Non ce la facevo più a porre sempre le stesse questioni al presidente del Consiglio».
Il futuro leader della minoranza - tranne rotture definitive - va avanti con la sua analisi. Spiega di aver posto «questioni di tipo politico e non sullorganigramma interno», senza alcuna «gelosia». Garantisce che il suo «spirito» è «costruttivo», ma chiede al contempo «un minimo di dignità, doveroso». Poi rimarca: «Il progetto politico iniziale è riuscito solo in parte», ma il problema, ripete, «non è di poltrone o di potere». Semmai, la questione è che «cè una scarsa attenzione alla coesione sociale del Paese e il Sud è scomparso dallagenda politica, temi che un grande partito nazionale deve affrontare». Senza dimenticare che «mancano proposte precise» sul versante riforme. Detto questo, la volontà di rimettere in cima allagenda di governo le questioni del Mezzogiorno «non è una riproposizione dei miei attriti con Tremonti: anzi, Tremonti è un ottimo ministro che ha fatto un ottimo lavoro» nella gestione della crisi economica. Tanto che, «senza di lui, oggi avremmo fatto la stessa fine della Grecia».
Inevitabile un richiamo al rischio di appiattimento sul Carroccio. «La Lega è un alleato strategico, importante e leale - riconosce Fini - ma oggi nessuno può dire che non sia diventata il dominus della coalizione». Ecco perché «dobbiamo discutere del ruolo che ha assunto il nostro alleato e di quello del nostro partito». La terza carica dello Stato poi allarga la gittata e sinfila nella querelle tra il premier e lautore di Gomorra. «Come è possibile dire che Saviano, con il suo libro, ha incrementato la camorra? Come si fa a essere daccordo?». Interrogativi che Fini pone agli ex An riuniti alla sala Tatarella (off-limits ai cronisti, tenuti a debita distanza anche ai piani inferiori). «Nessuno nega che Berlusconi sia vittima di accanimento giudiziario - continua - ma a volte dice delle cose sulle quali è difficile convenire».
Fini torna così sulla minaccia, ventilata spesso dai suoi, di far nascere gruppi autonomi in Parlamento. «Chi ha interpretato il mio pensiero in questi giorni parlando di scissioni o di elezioni anticipate ha solo incendiato il dibattito», puntualizza, sconfessando chi ha accelerato su una posizione oltranzista. Dovremmo credere dunque che i suoi abbiano agito di testa loro.
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