Pechino - Se ne stava seduto in malo modo sul cassone arrugginito dell’Apecar cinese di papà. Accanto a lui la mamma, tutta presa a tenerlo stretto per proteggerlo dagli scossoni del traffico. Ci ha visti in quel momento, quando la station wagon ammiraglia con i colori dell’Italia è comparsa dietro loro portando in dote le scritte della festa olimpica, il fascino di un Paese lontano e la grinta di cinque ragazzi in bicicletta. Il bimbo ha sgranato gli occhi mentre cittì Franco Ballerini lo salutava, mentre Paolo Bettini faceva così con la mano e Davide Rebellin, Vincenzo Nibali e Franco Pellizotti allargavano un poco per non spaventare la famigliola appollaiata su quel trabiccolo.
È stato in quell’istante che, come fosse Star Trek, si è materializzato accanto al finestrino del cittì il faccione buono di Marzio Bruseghin. «Franco», gli ha detto il quinto azzurro, «un attimo solo che regalo al piccolo la mia borraccia». Il passaggio di quel testimone in corsa è durato un battito, ma gli occhi del piccolo sono rimasti impressi per minuti sullo specchietto retrovisore dell’ammiraglia. Dentro, quattro persone, cittì compreso, in silenzio hanno continuato a fare su e giù con lo sguardo per cercare nello specchietto il ricordo di quel sorriso.
Le tre ore di prova sul circuito olimpico sono finite così, con la sacrosanta soddisfazione di un gruppo che ha tutte le carte in regola, domani, per bissare l’oro di Atene. Li attendono 70 chilometri in linea da Pechino fino alle pendici della Grande Muraglia, poi il circuito in salita lungo la stretta statale che costeggia The Great Wall, quindi una lunga discesa leggera su un tratto dell’autostrada.
In tutto 23,8 chilometri da percorrere 7 volte. In totale, compresi i 70 iniziali, fanno 236. «La squadra da battere è la Spagna» dirà a fine giornata cittì Ballerini. «Ma a noi piacciono le sfide e per vincere metteremo tutta la nostra cattiveria agonistica... Quanto alla bufera doping, chi ha sbagliato paghi, ma non si deve far di tutta l’erba un fascio». E così Bettini: «Un arrivo impegnativo, una corsa da matti e qui serve un matto creativo e intelligente... La bufera doping? Atleti di altri sport dicono “controllateci pure...”. Mi viene da ridere: con controlli seri come da noi, anche altrove scopriremmo che tutti i matti non sono nel ciclismo».
Ore undici, appuntamento fuori Pechino, a Changping, sulla Shisanling road, davanti a un grande hotel composto di ville. In una di queste, fino a ieri alloggiavano gli azzurri. «Ci siamo portati tutto» confida il Ballero, così i ragazzi chiamano il loro cittì. «Abbiamo comprato cucina, frigorifero, tavoli, sedie, abbiamo portato tutto l’occorrente, dal grana alla pasta sempre al dente, persino il cuoco che la sappia cucinare... Credo che anche a livello psicologico, ai ragazzi faccia bene avere la certezza di trovare il cibo e i sapori di casa».
«Dai Ballero, sgommiamo?». Si parte, Bettini ha fretta e voglia di assaggiare la pista. «La radio, proviamo la radio?» gli suggerisce Rebellin; «pronto? Pronto? Porcaccione, mi senti?» risponde al volo il campione toscano. Funziona tutto, via. Sfrecciano gli azzurri e vista da dentro, dalle mura di vetro dell’ammiraglia, la loro corsa è un contrasto: quel bianco e azzurro buca lo smog e il grigiume nebbioso dei quartieri periferici. A un incrocio il solito poliziotto fa casino tra le auto, Bettini e compagni lo sfilano con un abile slalom. «Dai, passa di lì anche tu» Ballerini sprona Marino Amadori, tecnico della squadra donne e per l’occasione driver della macchina. «Accelera, sennò li perdiamo».
Vanno i ragazzi, sono in forma i ragazzi e forse dà loro ancor più benzina aver incontrato gli spagnoli mentre uscivano dall’hotel in un festival di sorrisi e sguardi di sfida. C’erano tutti: da Sastre, fresco vincitore del Tour, a Valverde, il vero pericolo olimpico. Sul sedile posteriore, Angelo Lavarda, figura storica della nostra federazione, mi fa da Cicerone e ha il suo bel daffare con il sacco dei viveri e delle bevande. «Prova questa torta, l’ha fatta il nostro cuoco, dimmi se non è buona?». «Sai», interviene Ballerini quasi volesse restare in tema, «quando compongo la squadra un indice molto importante per capire se i ragazzi fanno gruppo è la loro voglia di restare a tavola dopo il caffè. Credo che in sfide come questa l’affiatamento sia fondamentale: voglio e devono essere tutti per uno e uno per tutti.
Se subito dopocena te ne vai perché preferisci altro, vuol dire che in fondo qualcosa non va. Da quando li seguo, la nostra forza è proprio la compattezza. E poi Bettini è un uomo estremamente intelligente, è un trascinatore, ha un rapporto esagerato con il gruppo». E Paolo è innamorato dei Giochi: «L’altro giorno sulla Muraglia mi hanno chiesto centinaia di autografi» confiderà durante una sosta, «credimi, non li volevano per il titolo mondiale ma per l’oro di Atene... Per questo spero di riuscire a riconquistarlo».
Siamo all’inizio della salita che ci porterà fin sotto la Grande Muraglia, la pendenza si fa sentire. Bettini & company percorrono due giri del circuito e il toscano prova una volata con Bruseghin. «E allora?», gli domanda a caldo Ballerini, «e allora...», risponde lui, «... è un circuito veloce, ma sa far male. Gli ultimi 600 metri soprattutto...». «E la parte in discesa?» gli chiede il cittì, «discesa? Quale discesa?» scherza e non scherza il campione. In effetti è la classica pendenza impercettibile di un’autostrada.
Si riparte, imbocchiamo una lunga galleria dove domina sovrana la nebbia figlia dello smog. «O suvvia, bisognerebbe aprire un po’ di finestre qui dentro» è la voce di Bettini che si affianca all’ammiraglia. Venti minuti dopo siamo di nuovo in città.
Ehi ragazzacci, domani siamo tutti con voi.
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