Bilancia, contabile del male che uccideva per piacere

Il giornalista Carlo Piano, che seguì il killer negli anni '90: "Mi libero da quei fantasmi"

Bilancia, contabile del male che uccideva per piacere

Diciassette, ma un numero non racconta tutto. Giorgio e Maurizio sono i biscazzieri, li ammazza per un incrocio di demoni, l'azzardo e la vendetta, la sfiducia e il tradimento. Carla è la moglie di Maurizio e muore perché si trova lì, per rancore, per invidia. Sono i primi tre. È lì che lui scopre il gusto del sangue, il piacere di uccidere, l'ossessione della bestia. Bruno, il gioielliere, e Maria sono il costo di una rapina andata male. Non prova rimorso. Luciano è il cambiavalute e Giangiorgio il metronotte, la sua colpa è indossare una divisa. Stela è albanese. È giovane e fragile. È qui che si compiace di incarnare un serial killer. Non le uccide per perbenismo, ma perché si sente giudicato, a priori, per pregiudizio. «C'era questa voglia di fare, ma non poteva fare, allora si comprava le donne, però allo stesso tempo le odiava».

Si è convinto che le ammazzava per qualcosa di piccolo e impotente. Troppo facile. Un giorno dirà che dare morte è un orgasmo. Neppure questa però è una verità. Fu un marzo di sangue, quello del 1998, da sotto il vestito niente. Ljudmyla e Tessy e poi ad aprile Kristina. Prima, però, trova la rabbia e il tempo per regolare i conti con Enzo, il cambiavalute. Qualcosa va storto con Lorena, prinçesa di Novi Ligure. Spara, ma lei fugge, e viene soccorsa da Massimiliano e Candido, i due metronotte. Li finisce entrambi. Il tempo sta per finire. Ora si muove sui treni. Elisabetta trova il suo carnefice nel bagno di un intercity. L'ultima è Maria Angela, infermiera e quello che il mondo delle bische e del malaffare conosce come Walterino spargerà il suo seme su un corpo ancora caldo. «Non so trovare una chiave di lettura nella scelta delle vittime. Una spiegazione può essere la nazionalità. Sceglievo le ragazze in base a questo criterio. Chiedevo: da dov'è che vieni? Dovevano essere di nazionalità diversa l'una dall'altra».

Diciassette delitti e ognuno è una stagione all'inferno, senza poesia, senza speranza. È un contorno nell'ombra, un profilo, una traccia. È Donato Bilancia, il contabile della malvagità, l'uomo che uccideva solo per uccidere. A raccontarlo, quasi come fosse Dumas, è Carlo Piano, che quando aveva poco più di trent'anni lo seguiva per le strade della Liguria. Era il tramonto degli anni Novanta. «Lo feci per sei mesi, senza sapere che fosse un unico assassino a fare tanti morti, d'altronde non lo sapevano neppure gli investigatori incaricati delle indagini. Poi, dopo la sua cattura, gli feci visita al carcere di Chiavari, alle Case Rosse. Ricordo che stava in un angolo, fissava un crocifisso, continuava a fumare e disse solo: Ma che ci faccio qui, in mezzo a tanti delinquenti?. Perché sì, Donato Bilancia non si sentiva un criminale. Quando ho saputo che è morto, poco prima del Natale del 2020, mi è tornato tutto in mente. Mi ero dimenticato di Donato Bilancia, ma ho sentito l'esigenza di mettermi a scrivere. Dovevo esorcizzarlo».

Il Torto (edizioni e/o) è il romanzo crudo e spietato costruito su 90mila pagine di verbali, 65 faldoni di documenti, 80 fascicoli di intercettazioni telefoniche, una biblioteca di atti giudiziari. «Bilancia fu arrestato il 6 maggio di 25 anni fa, in zona San Martino, a Genova. Era la fine di un incubo che aveva insanguinato la Liguria. Io ho voluto scrivere una sorta di true crime, basandomi sui fatti, sulle testimonianze, sui ricordi miei, per riproporre la storia tragica di un uomo che era al contempo fragile, feroce e contraddittorio, un personaggio che sembra uscito da una tragedia di Sofocle. E c'è sempre da dare una risposta a una domanda: che cosa ha trasformato un ladro e un balordo che non aveva mai fatto male a nessuno nel serial killer più frenetico e prolifico del panorama criminale italiano?».

Si può solo ragionare su un destino storto, su una famiglia uggiosa, con un padre brutale come ce ne sono tanti e una madre debole e rassegnata. Bilancia ladro e per lungo tempo gentiluomo, così abile nello scassinare da raccontarsi come una sorta di Arsenio Lupin. Bilancia che frequenta tutti i casinò, che gioca d'azzardo e vince e si divora ogni fortuna. Bilancia che non si fida di nessuno, neppure di se stesso. Bilancia piromane. Bilancia che si fa chiamare Walter. Bilancia che spacca la macchina e resta in coma per tre giorni e quel giorno deraglia il suo futuro. Bilancia che farà la piscia al letto per tutta la vita, di notte, quando i suoi sogni fanno più paura. Bilancia che non ha mai smesso di detestarsi. C'è che la vita va come deve andare e l'unica persona che ami è un bambino, tuo nipote, e muore con il padre, tuo fratello, in una giornata da maledire per sempre. «Ogni tanto andavo a prenderlo e me lo portavo alle giostre, dove si divertiva. Stavo bene con lui, mi trasmetteva una gioia che scacciava la tristezza delle mie giornate».

La morte non ha i suoi occhi. Donato Bilancia è schiattato di Covid nel carcere di Padova.

Al suo fianco c'era un prete, Don Marco. I soldi della pensione di Donato ogni mese andavano a un bimbo che aveva bisogno di cure. Non cercava perdono. Per un quarto di secolo ha pregato di morire. «Fa freddo in questa topaia».

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