Bob Geldof: torno alla musica e sogno ancora il successo

Si intitola ironicamente «Come comporre canzonette che venderanno» il nuovo lavoro discografico dell'ideatore del «Live Aid». Ora dice basta ai concerti di beneficenza: in fondo sono soprattutto un musicista

Se fosse stato un libro (magari un romanzo italiano) si sarebbe intitolato «Come vendere un milione di copie e vivere felici». Invece è un disco (oltretutto anglofono) e quindi il titolo subisce una piccola correzione: «How to compose popular songs that will sell». A firmarlo è un volto (e una voce) noto del mondo musicale. Stiamo parlando di Bob Geldof che, smessi i panni dell'attivista promoter di concerti di beneficenza, torna al suo primo amore. Vale a dire il pop. In questi giorni è in giro per l'Europa a promuovere il nuovo cd pubblicato dall'etichetta Mercury. «In fondo il Live Aid è storia passata - spiega con un leggero disincanto nella voce - e io sono un musicista. Quindi il mio lavoro è questo». Se si va sulla pagina di Wikipedia (ormai passaggio imprescindibile per chiunque debba trovare una risposta alla domanda "Chi era costui?") una delle cose che più colpisce è l'unica citazione tratta dal variegato bagaglio filosofico-esistenziale del cantante irlandese, approdato sulla scena rock come frontman del complesso Boomtown rats. Nell'82 ebbe a dire: «Voglio scrivere una canzone che resti nella testa delle persone. Una di quelle canzoni che a sentirle ad anni di distanza ti fa subito tornare in mente una suggestione, un periodo della tua vita». Forse quella canzone potrebbe essere «I don't like monday». Se non al Live Aid, il suo nome viene infatti sempre associato a quel motivetto di forte impatto emotivo.
Magari la sua ultima ambizione non è soltanto scrollarsi definitivamente di dosso la maschera dell'artista engagè ma anche di far dimenticare quel motivetto «esplosivo». Parlando ai giornalisti sforna riflessioni che non faticano a scivolare sul rock and roll. «Non basta solo scrivere belle parole e una bella musica, serve il contesto. E quello che è accaduto ai Beatles lo dimostra - sottolinea Geldof -. Gli artisti devono articolare la società prima che la stessa capisca cosa sta accadendo. Il rock è il prisma da cui guardare la società, è un linguaggio universale che le nuove generazioni hanno perso. O forse faccio queste considerazioni perché sono io che sono troppo vecchio, ho quasi sessant'anni». Il titolo del suo nuovo disco «How to compose popular songs that will sell», con cui rompe nove anni di silenzio discografico, prende spunto ironicamente da un manuale trovato a casa di un suo amico, scritto negli anni Trenta da Leslie Sheppard, uno studioso di musica barocca.

Pensa che qualche canzone di questo disco possa diventare una hit? «Non mi interessa entrare in classifica - spiega Bob Geldof -. Scrivo canzoni pop per caso. Tutti abbiamo una library musicale nella testa e io attingo da lì».

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