Calcio e Borsa: conviene davvero? Perché alcuni club come la Juve scelgono la via del mercato azionario

Dopo la temporanea “riabilitazione” della Juventus, penalizzata con 15 punti per la vicenda plusvalenze, i titoli dei bianconeri, pesantemente colpiti dalla precedente condanna, sono risaliti. Non sempre però il rapporto “causa-effetto” è così diretto

Calcio e Borsa: conviene davvero? Perché alcuni club come la Juve scelgono la via del mercato azionario

Era “atteso al varco” il titolo in Borsa della Juventus, dopo la decisione del Collegio di Garanzia del Coni, che ha disposto un nuovo giudizio presso la Corte federale d’Appello sul filone plusvalenze, cancellando, in attesa del responso, la precedente penalizzazione di 15 punti in classifica. E l’apertura delle contrattazioni di venerdì, non ha tradito le attese: nel giorno successivo alla pronuncia del Coni, il titolo della Juventus alla Borsa di Milano era in crescita, poco dopo l’avvio delle contrattazioni, dell’1,11%, a 0,365 euro per azione, per chiudere la giornata a 0,346. La variazione dell'andamento del titolo rispetto a un anno fa è in “rally” (cioè in deciso aumento, repentino e non del tutto atteso), con una crescita di +11,87%.

Uno scenario ben diverso da quello dello scorso 23 gennaio, quando la sentenza della giustizia sportiva che aveva tolto 15 punti alla Juventus si era fatta subito sentire sul titolo del club torinese. Le azioni erano al di sotto del 15% rispetto a un anno prima, lontanissime dalle quotazioni pre-pandemia (quando il titolo valeva un euro), e ancora di più da quelli del collocamento a Piazza Affari nel dicembre del 2001, a 3,70 euro.

Se le dinamiche dei mercati non sono sempre intellegibili, in questo caso specifico è evidente il collegamento fra le vicende della giustizia sportiva del club bianconero e l’andamento delle sue quotazioni in borsa. Ma conviene davvero alle società sportive quotarsi in Borsa? Cerchiamo di capirlo insieme sulla base di alcuni dati.

Le squadre di calcio quotate in Borsa

Le squadre attualmente quotate in Borsa sono, in Italia, Juventus, Roma e Lazio; in Francia l’Olympique de Lyon; nel Regno Unito il Celtic Glasgow, il Tottenham Hotspur e il Manchester United; in Germania il Borussia Dortmund; in Danimarca il Brondby, l’AGF, il Silkeborg, l’Aalborg Boldspilklub e il Parken Sport & Entertainment (per lo stadio); in Svezia l’AIK Calcio; in Polonia il Ruch Chorzow; in Portogallo lo Sporting Lisbona, il Porto e lo Sporting Braga; in Turchia il Galatasaray, il Besiktas, il Fenerbahce e il Trabzonspor; nei Paesi Bassi l’Ajax; in Macedonia il Teteks ad Tetovo.

La Juventus è stato il terzo club italiano ad essersi quotato in Borsa, nel 2001, dopo Lazio (nel 1998) e Roma (nel 2000). Ad oggi nessun’altra società italiana ha seguito il loro esempio. Il giorno della loro quotazione i titoli di Lazio, Roma e Juventus valevano più di quanto valgano adesso.

Il picco massimo viene raggiunto nel 2002, con 36 squadre europee quotate, in particolare inglesi, danesi e turche. Il caso di maggior successo, quello del Manchester United che, entrato nel 1991 alla London Stock Exchange, ha visto decuplicare in poco meno di 10 anni la propria capitalizzazione.

Da club sportivo a Spa

Con il passare degli anni il settore calcistico ha visto crescere sempre più la sua importanza economica, tanto che oggi le squadre vengono considerate aziende vere e proprie ed è possibile investire in Borsa per acquistare azioni della propria squadra del cuore o di quella che potrebbe procurare più guadagni. Nel 1997 la Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa) modificò le norme che regolavano l’accesso in Borsa delle società, permettendo la quotazione anche ai club calcistici (cosa già possibile nel Regno Unito dagli anni Ottanta, con il Tottenham primo club calcistico in assoluto a quotarsi, nel 1983). Chi intendeva farlo doveva depositare gli ultimi tre bilanci, l’ultimo dei quali controllato da una società di revisione (per facilitare l’accesso in Borsa, però, venne cancellata la norma che voleva tutti e tre i bilanci in attivo).

Va detto però che non per tutti le performance sono risultate proficue e costanti. L’aumento dei costi e la forte dipendenza dai risultati sportivi comportò per molti club un “delisting” (cioè la rimozione di un titolo azionario da un mercato su cui è quotato, per volontà dell'azionista di maggioranza della società o per decisione della Borsa). Così, nel corso degli anni, il numero delle società quotate inizia a scendere: dalle 30 del 2009, alle 25 nel 2015, fino alle attuali 24.

Nel 2002 inoltre era stato creato un indice specifico per le squadre di calcio, lo STOXX Europe Football, che nel corso della sua storia è stato soggetto ad una grande volatilità, per essere poi chiuso nel settembre 2020.

Perché quotarsi in Borsa

I motivi del perché una squadra di calcio decida di quotarsi in Borsa diventando una Spa, sono spesso diversi, tra i più comuni c’è sicuramente la necessità di denaro, cioè di capitali. Quando una società si espande, spesso l'esigenza di soldi per investimenti o progetti (infrastrutture, nuovi macchinari, o altro) aumenta. Un modo per trovare denaro facilmente è dunque quello di ricorrere al mercato.

Oltre a questo, le società possono ottenere più facilmente visibilità migliorando la propria immagine agli occhi di altri investitori e del consumatore cui l’azienda si rivolge. Altro fattore attrattivo: dal momento che per quotarsi in Borsa bisogna rispettare regole di trasparenza e controlli più ferrei, solitamente una società quotata è ritenuta più affidabile dagli stessi investitori.

Le dinamiche del mercato

Ma davvero dunque la quotazione in Borsa rappresenta una giusta scelta per un club calcistico? A questa domanda ha cercato di dare risposta uno studio di PwC e del Sole 24 Ore di qualche anno fa. L’analisi ha evidenziato che, se fra il 31 ottobre 2007 e il 28 settembre 2012 l’Ftse Mib cedeva il 18%, le azioni di Juventus, Roma e Lazio avevano perso il 5,5%. Lo stesso valeva anche per l’Ajax (la società olandese aveva perso il 3,6% contro il 10,2% del mercato di riferimento), mentre i quattro club turchi quotati in Borsa (Beşiktaş, Fenerbahçe, Galatasaray e Trabzonspor) così come il Borussia Dortmund avevano registrato un rendimento positivo, con performance migliori rispetto ai mercati di riferimento. Differente la situazione per Arsenal, Tottenham, Celtic, Benfica, Porto, Sporting Lisbona, con un rapporto negativo. Secondo Emanuele Grasso, partner PwC, citato dal Sole 24 Ore, “Il quadro finanziario dei club di calcio si presenta diversificato, segno che l’andamento del titolo in Borsa nel medio-lungo periodo risponde più ai fondamentali economici dell’azienda ovvero del sistema-Paese di riferimento, che ai goal segnati o subiti in campo”.

Un’altra analisi condotta dalla società di consulenza KPMG (in questo caso lo studio aveva preso in esame le performance di 22 titoli azionari nel 2016) confermava che non sempre esiste una correlazione evidente tra i risultati sportivi e l’andamento del titolo. A volte dunque non basta vincere il campionato per andare bene in Borsa.

Ma c’è di più. In un articolo pubblicato su Journal of Sports Economics, Ender Demir e Ugo Rigoni evidenziano come i titoli azionari di Lazio e Roma non dipendano solo dai risultati ottenuti sul campo dalle singole squadre.

Analizzando infatti l’andamento dei titoli azionari dei due club dopo le partite giocate dal 2004-2005 al 2009-2010, quelle di Coppa incluse, lo studio pone l’accento sul fatto che anche le prestazioni dei rivali sono determinanti. Facendo un esempio pratico, quando i biancocelesti perdono, il titolo della Roma va bene e viceversa. Va ancora meglio però quando la sconfitta della squadra rivale risulta inattesa.

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