Mercati azionari, le previsioni per il secondo semestre in Europa e USA

Si comincia lunedì in America: PMI manifatturiero di giugno e l’ISM manifatturiero di giugno. Mercoledì è il turno dell’Europa con il PMI composito di giugno e i prezzi alla produzione MoM di maggio

Mercati azionari, le previsioni per il secondo semestre in Europa e USA

Settimana decisamente positiva e tra le migliori dal marzo scorso. Il FTSE MIB mette a segno una performance del 3,8%, decisamente maggiore rispetto a quelle dei titoli dello Star, il cui indice FTSE ITALIA STAR è cresciuto dell’1% e di quello dei titoli dell’Euronext Growth Milano, il cui indice è salito dello 0,3%. L’indice maggiore è stato sostenuto soprattutto dai titoli legati all’energia che tornano prepotentemente tra le prime posizioni (Prysmian +8,7%, Saipem +8,2% che recupera e perdite della scorsa settimana e Tenaris +7,4%) grazie soprattutto ai dati economici USA che continuano a segnalare una crescita economica sostenuta (la crescita consuma energia e petrolio).

Non c'è un filo comune tra i titoli negativi. Tra le maggiori flessioni della settimana troviamo Leonardo (-2,2%) dopo la cauta guidance sul cash flow del 2023, Diasorin -1,4% e Telecom -0,7% dove il mercato rimane in attesa di capire quale sarà il futuro della società.

La settimana appena trascorsa ha visto numerosi dati importanti. Le vendite al dettaglio della Germania MoM di maggio, che sono risultate più elevate rispetto alle attese (+0,4% contro zero stimato e +0,7% di aprile). L’inflazione dell’Europa YoY di giugno, che è risultata leggermente più bassa delle attese (+5,5% contro +5,6% stimato e 6,1% di maggio), ma cresce però quella core al 5,4% (5,3% a maggio). Inflazione della Francia YoY di giugno leggermente più bassa delle aspettative (+4,5% contro +4,6% stimato e +5,1% di maggio). In ulteriore e positiva contrazione il tasso di disoccupazione dell’Italia di maggio (7,6% contro 7,9% atteso e 7,8% di maggio).

Dati USA sempre forti. Per quanto riguarda i dati USA, il PMI Chicago è risultato leggermente inferiore alle stime (41,5 punti contro 44 atteso), ma in crescita rispetto al dato di 40,4 punti di maggio), mentre più elevata delle attese è risultata invece la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan (64,4 punti contro 63,9 di maggio).

Nel corso della prossima settimana sono attesi dati importanti di conferma dell’andamento dell’economia USA ed Europea. Si comincia lunedì con gli USA: PMI manifatturiero di giugno (stima 46,3 punti contro 48,4 di maggio) e l’ISM manifatturiero di giugno (stima 47,2 punti contro 46,9 di maggio). Mercoledì è il turno dell’Europa con il PMI composito di giugno (stima 50,3 punti contro 52,8 di maggio) e i prezzi alla produzione MoM di maggio (stima -3,9% contro -3,2% di aprile).

Siamo alla metà dell’anno e crediamo possa essere vantaggioso tentare di capire che cosa ci possiamo attendere per i prossimi sei mesi nelle due grandi economie occidentali: Europa e USA

Cominciamo dagli USA. L’indice S&P 500 è cresciuto del 17% circa dall'inizio dell'anno, guidato soprattutto da pochi titoli tecnologici a grande capitalizzazione e da quelli di società legate all’intelligenza artificiale (AI). Solo nelle ultime due settimane abbiamo notato una modesta crescita anche dei titoli a bassa capitalizzazione (che significa fra 300 milioni e 1 miliardo di dollari) e in alcuni settori ciclici come quelli industriali e dei materiali.

Crescita del 17% messa a segno nonostante la FED di fatto non ha mai cambiato opinione sulla possibilità di mantenere i tassi in squilibrio per un lungo periodo di tempo per riportare l’inflazione all’obiettivo del 2%. L’economia USA continua tuttavia a sfidare la recessione: il PIL del secondo trimestre è cresciuto del in modo decisamente maggiori rispetto alle stime (2% rispetto al +1,4% atteso), anche se è risultato in decelerazione rispetto al quarto trimestre del 2022 (+2,6%).

Cosa aspettarsi dunque dalla FED per il secondo semestre dell’anno? La considerazione di fondo è che è molto più probabile che l’economia rallenti, piuttosto che continui a crescere. Il motivo sono i rialzi di 500 bp in 12 mesi che cominciano ad avere effetti sull’economia reale (la crisi delle banche regionali è la punta dell’iceberg). Vero è che i consumi potrebbero essere ancora sostenuti per un po’ di tempo, grazie al risparmio cumulato durante la pandemia, che al momento somma ancora a circa 1 trilione di dollari, e alla resilienza del mercato del lavoro dove diverse industrie hanno ancora difficoltà a trovare lavoratori.

Difficile dire se l’economia USA entrerà in recessione e se poi questa sarà simile ad un soft oppure ad un hard landing. Quello cui potremmo assistere è una sorta di recessione “ibrida”, con alcuni settori in crescita negativa mentre altri che si stabilizzano e altri ancora che invece rimbalzano. Vero è che uno degli indicatori economici importanti, ovvero l’indice economico leader degli USA (LEI) che, come noto, è composto di dieci indicatori economici destinati a segnalare punti di svolta nell'economia, continua a scendere. A maggio scorso il LEI è sceso dello 0,7%, segnando il 14° calo mensile consecutivo (complessivamente -4,3% negli ultimi sei mesi). Il calo di maggio è stato attribuito in prevalenze all'indebolimento delle aspettative dei consumatori per le condizioni commerciali e al peggioramento delle condizioni del credito. Secondo il Conference Board, la tendenza al ribasso è coerente con un'attività economica più debole all’orizzonte e continua a segnalare una recessione entro i prossimi 12 mesi.

Veniamo al tema tassi di interesse. La FED continua a lottare duramente contro l'inflazione, tanto è vero che i membri del FOMC nelle loro proiezioni di giugno hanno indicato che il picco del tasso sui fondi federali potrebbe raggiungere il 5,6% entro la fine del 2023. Che tradotto significa ulteriori due rialzi di 25 bp ciascuno. I mercati sono però più ottimisti e prezzano al momento un solo aumento di 25 bp a luglio e un’altra pausa fino alla fine dell’anno. Se teniamo buone le parole di Powell, gli aumenti potrebbero essere due di 25 bp ciascuno qualora i dati di inflazione soprattutto core non mostrino un’evidente e strutturale tendenza al ribasso.

Sicuramente a seguito del suo ultimo discorso alla Camera, Powell ha spazzato via le attese di una riduzione dei tassi di interesse nel 2023. Salvo evidentemente un forte shock che spinga l'economia verso una recessione più grave delle attese. Di taglio di tassi se ne parlerà nel 2024, come la stessa FED ha indicato nelle sue proiezioni che indicano un tasso dei fondi federali che si abbasserà dell'1,0%. Attualmente i tassi di interesse sono in territorio restrittivo, là dove la FED voleva portarli. La domanda diventa quanto tempo vorrà lasciarceli. La risposta è soggettiva e da questa dipende ovviamente la strategia di investimento.

Per quanto ci riguarda, vediamo una FED che sta gradualmente preparando i mercati ad un rallentamento economico che questi potrebbero non essere in grado di ignorare. Siamo convinti che tutto ciò possa generare un aumento della volatilità che gli investitori potrebbero utilizzare come un'opportunità per posizionarsi in vista di una ripresa degli indici più concreta e sostenibile.

Crediamo però che occorra ancora un po’ di tempo prima di aumentare il peso della componente azionaria nel portafoglio, ma siamo tuttavia convinti che il graduale calo dell'inflazione e il cambiamento delle politiche delle banche centrali in vista del picco dei tassi di interesse, potrebbero aver già posto le fondamenta per un nuovo mercato rialzista. E’ possibile che, passata la stagione dei risultati semestrali, gli investitori cominceranno a guardare al 2024, che potrebbe portare ad un'inflazione più bassa, tassi di interesse più bassi e migliori tendenze degli utili, rispetto al 2023.

Per quanto riguarda le obbligazioni vediamo in formazione l'opportunità per integrare alcuni posizionamenti a breve scadenza e strumenti simili alla liquidità con obbligazioni a più lunga duration, ma unicamente nell’investment grade di qualità. Questo tenuto conto che di solito il picco dei rendimenti dei titoli di stato si verifica qualche mese prima del picco dei tassi della banca centrale.

E veniamo all’Europa. Sappiamo che la BCE ha cominciato ad alzare i tassi qualche mese dopo la FED e quindi è probabile che gli effetti si vedano un po’ dopo. Stando alle ultime dichiarazioni della Lagarde rilasciate nel corso della settimana in occasione del Forum della BCE, non si sono ancora visti i pieni effetti degli aumenti cumulati di 400 bp decisi a partire dal luglio scorso. Che detto in altri termini, significa almeno un altro rialzo dei tassi di 25 bp a luglio. Secondo alcuni esponenti del Consiglio Direttivo inoltre, considerata la viscosità dell'inflazione e il rischio di dati ancora al rialzo, è possibile che scatti un ulteriore aumento di 25 bp anche settembre.

Spostando l’attenzione sulla crescita economica è chiaro come questa dipenda in larga parte da quanto tempo i tassi di interesse rimarranno elevati e quindi in squilibrio, più che dal loro picco. Questa riteniamo sarà la componente chiave per capire se anche il secondo trimestre e la rimanente parte dell’anno saranno con un segno meno davanti. Per il momento le stime della BCE, ridotte ancora nell’ultimo meeting, indicano che l’inflazione raggiungerà il 2,2% solo nel 2025 (2,3% quella core) e la crescita economica per il 2023 e il 2024 farà segnare un +0,9% e +1,5% rispettivamente. Non siamo del tutto convinti che il 2023 possa chiudersi con la crescita indicata dalla BCE. Sia perché gli effetti dei rialzi dei tassi non sono lineari e non possono essere decisi dalla banca centrale, con il rischio che diventino concreti tutti insieme. E poi perché la BCE nel frattempo sta gradualmente riducendo il portafoglio del PAA, dato che l'Eurosistema reinveste solo in parte il capitale rimborsato sui titoli in scadenza. Il ritmo di tale riduzione è stato pari in media a 15 miliardi di euro al mese sino alla fine di giugno 2023. A partire dal luglio i reinvestimenti saranno bloccati.

E’ chiaro che ulteriori aumenti dei tassi aggraveranno ulteriormente la recessione che, al momento, la BCE si è affrettata a dire che è puramente tecnica (anche l’inflazione iniziale era transitoria). Non solo, ma il maggiore costo del debito è atteso peggiorare la qualità dell'esposizione creditizia delle banche che, sebbene non abbia risentito dei problemi verificati in altre zone del mondo, è impensabile che non subisca un deterioramento e/o una contrazione in seguito all’aumento dei tassi di interesse come quello in atto. Secondo le nostre stime il credit crunch conseguente al rialzo dei tassi, vale per l’intera economia Europea tra 25 e 50 bp di rialzo dei tassi.

Le recenti turbolenze nel mercato del credito hanno dimostrato che i rialzi dei tassi sono sempre dolorosi, soprattutto per i valori delle attività finanziarie. E’ vero che le grandi banche europee sono in buona forma, con solidi livelli di capitale ed elevati indici di liquidità.

Inoltre, ci aspettiamo che i responsabili politici interverranno rapidamente con misure adeguate al fine di fermare qualsiasi contagio che potrebbe portare a una grave crisi bancaria. Questo non significa tuttavia che qualche banca Europea non possa finire sotto stress con evidenti gravi ripercussioni per tutti i mercati finanziari e le banche di tutti i paesi Europei.

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