Andrea Farinacci
Produrre formaggi e latticini a emissioni zero è oggi una realtà per Brazzale, la più antica azienda casearia italiano. L'impegno per l'ambiente non si concretizza solo attraverso la creazione di filiere ecosostenibili, realizzando i prodotti nei contesti geografici più favorevoli, ma anche compensando le emissioni di anidride carbonica attraverso 1,5 milioni di nuovi alberi piantati nei pascoli brasiliani del gruppo nel Mato Grosso del Sud. Questa iniziativa consente di eliminare l'equivalente di 54.110 tonnellate di CO2 equivalenti l'anno, azzerando di fatto tutte le emissioni di biossido di carbonio rilasciate dagli altri stabilimenti del gruppo nel mondo. L'inventario dei Ghg (gas ad effetto serra) è stato verificato dall'istituto di certificazione Dnv Gl. Ecco perché tutti i prodotti del gruppo (Brazzale, Gran Moravia, Burro delle Alpi, Zogi, Alpilatte e Burro Superiore Fratelli Brazzale) contribuiscono a sviluppare un modello agricolo e zootecnico sostenibile, come certificato dai logo «Carbon Zero» che si trova su tutte le confezioni.
«Siamo la più antica azienda casearia italiana, la nostra famiglia ha iniziato l'attività nel 1784», ricorda il presidente Roberto Brazzale. L'importanza della tradizione è stata poi coniugata con l'internazionalizzazione. «All'inizio degli anni '90 il mondo era cambiato e così abbiamo deciso di rivoluzionare i nostri metodi lavorativi e di andare a realizzare i prodotti laddove sarebbero riusciti meglio», aggiunge. «Per il latte abbiamo scelto la Moravia, in Repubblica Ceca, una straordinaria regione da latte e lì abbiamo sviluppato una filiera di produzione di formaggi della nostra tradizione e lì abbiamo realizzato il più grande stabilimento al mondo per la produzione di grana e raccogliamo il latte di più di 80 aziende agricole su più di 90mila ettari», racconta.
Il modello italiano, oltreché in Repubblica Ceca, è stato «esportato» nella Fazenda Ouro Branco nel Mato Grosso del sud all'interno della quale dal 2009 è stato adottato il modello «Silvipastoril», ossia la riforestazione dei pascoli sui quali vengono allevati i bovini per la produzione di latte e di carne. Proprio qui sono stati piantati 1,5 milioni di alberi di eucalipto, 300 per ogni capo di bestiame che, tramite la fotosintesi clorofilliana (il più naturale dei processi) contribuiscono a un ingente sequestro di CO2. «Questo modello di allevamento associato alla riforestazione era stato studiato dalle università brasiliane e noi abbiamo deciso di realizzarlo perché le condizioni climatiche favorevoli di quella regione consente di pascolare il bestiame 365 giorni all'anno», spiega il presidente.
Il processo di internazionalizzazione ha comunque visto l'Italia mantenere la propria centralità. «Abbiamo raddoppiato i dipendenti elevandone il profilo professionale perché il nostro Paese, oltre a svolgere le attività ad alto valore aggiunto, è fondamentale per la stagionatura dei formaggi e per gli impianti di confezionamento», prosegue.
Il risultato più soddisfacente? «Abbiamo triplicato la produzione, neutralizzando il carbonio e smentendo le visioni catastrofiste di coloro che vorrebbero riequilibrare le emissioni di CO2 riducendo le attività», conclude Brazzale sottolineando che tutta la svolta produttiva è stata portata avanti in autonomia, «senza un euro o un dollaro di danaro pubblico, senza nessuna intermediazione della politica».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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