Quella di Brexit è una matassa di cui, ancora, è difficile trovare il bandolo. Due anni e mezzo di negoziati, summit e crisi di governo non sono bastati per cancellare l'unico, vero sentimento che serpeggia negli animi di tutti, brexiteers ed europeisti, conservatori e laburisti, cittadini britannici ed europei: l'incertezza.
Nelle ultime due settimane ci sono stati importanti sviluppi. Il 14 novembre è stata finalmente annunciata l'intesa tra il governo britannico e la Commissione Europea, risultata in una bozza di accordo di quasi 600 pagine che definisce i termini delle questioni più salienti dell'uscita del Regno Unito dalla Ue. Il documento, legalmente vincolante, stabilisce i residui oneri finanziari di Londra verso Bruxelles, i diritti dei cittadini britannici ed europei, oltre a definire tutti i provvedimenti che le due parti dovranno prendere a partire dal 29 marzo 2019, quando il Regno Unito abbandonerà l'Unione.
Ma non definitivamente: l'accordo prevede infatti un periodo di transizione di 21 mesi, fino al 31 dicembre 2021, durante il quale Londra continuerà ad essere parte della UE, con gli onori e gli oneri che questo comporta, perdendo però il proprio posto nelle istituzioni e nelle agenzie europee. Il periodo di transizione potrà essere prolungato fino ad un massimo di due anni, ma il primo ministro inglese Theresa May è ottimista, e parla solo di “qualche mese” in più, se necessario.
Dopo la conquista dell'importante accordo tecnico, il 22 novembre il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha annunciato il raggiungimento di un'intesa politica. Un documento di appena 26 pagine, non vincolante, attesta le volontà di entrambe le parti di mantenere solide e amichevoli relazioni nel lungo periodo, definendo le basi per l'accordo di libero scambio che Londra e Bruxelles dovranno negoziare proprio durante il periodo di transizione.
I have just sent to EU27 a draft Political Declaration on the Future Relationship between EU and UK. The Commission President has informed me that it has been agreed at negotiators’ level and agreed in principle at political level, subject to the endorsement of the Leaders.
— Donald Tusk (@eucopresident) 22 novembre 2018
La partita però è tutt'altro che chiusa. Sono moltissimi i nodi da sciogliere e la strada verso l'uscita del Regno Unito dall'Unione è ancora tutta in salita. Queste le date da segnare sul calendario, che segneranno il futuro di Londra e dell'Europa.
25 novembre 2018: domenica prossima si terrà a Bruxelles un vertice straordinario del Consiglio europeo, alla presenza dei capi di Stato o di governo dei 27 stati membri dell'UE. I leader europei saranno chiamati ad approvare entrambi i documenti di intesa. Questo, in teoria, dovrebbe essere lo scoglio minore per il governo May. Ma la Spagna si è messa di traverso: nei testi dei due accordi non c'è alcun riferimento a Gibilterra, possedimento britannico da più di 300 anni che gode di significativa autonomia, nonchè di speciali accordi legali con Madrid, legati alla sua collocazione geografica.
La Spagna chiede che venga aperto un tavolo negoziale a parte per definire la questione Gibilterra; ma le posizioni di Londra e Madrid sono lontane, come ha ribadito questa mattina il premier spagnolo Pedro Sanchez in un tweet, affermando che, se le cose non cambiano, non esiterà a porre il veto durante il Consiglio di domenica. Può darsi però che si tratti solo di una mossa strategica in vista delle elezioni spagnole che, probabilmente, si terranno l'anno prossimo; mentre il 2 dicembre si voterà in Andalusia, regione confinante con Gibilterra nonché importante partner economico.
After my conversation with Theresa May, our positions remain far away. My Government will always defend the interests of Spain. If there are no changes, we will veto Brexit.
— Pedro Sánchez (@sanchezcastejon) 22 novembre 2018
21 gennaio 2019: è questa la data-limite del Parlamento britannico per approvare l'accordo su Brexit. Theresa May si augura di riuscire a conquistare la maggioranza e impostare i primi provvedimenti di “assestamento” entro la fine dell'anno, ma Westminster rappresenta l'ostacolo più alto da superare. Il governo May, infatti, conta su una maggioranza risicata, che si regge sui voti dei 10 deputati del Partito unionista dell'Irlanda del Nord (DUP).
Ed è qui che entra in gioco una delle questioni più spinose di Brexit: il confine irlandese. Sia Londra che Bruxelles vogliono mantenere aperto il confine tra le due irlande, l'unica frontiera terrestre a separare il Regno Unito dall'Ue. Le modalità sono ancora tutte da definire, ma il Dup ha dichiarato da subito la propria contrarietà. I deputati unionisti chiedono una netta separazione da Dublino, oltre che condizioni post-Brexit uniformi per tutto il Regno Unito. Infatti il confine aperto potrebbe comportare uno status doganale e commerciale “speciale” per il nord Irlanda, cosa affatto gradita al DUP.
Inoltre, nel partito di governo dei Tories ci sono brexiteers radicali – schierati a favore di una “hard Brexit”, opposta alla versione soft negoziata sin qui – e deputati filo-europeisti che potrebbero votare contro l'accordo.
Se il parlamento non dovesse approvare il testo dell'intesa, si aprirebbero una serie di scenari non prevedibili, tra cui la caduta del governo stesso.
Insomma, la partita più importante si gioca nelle aule di Westminster.
29
marzo 2019: Il Brexit day. Alle 23 del prossimo 29 marzo il Regno Unito non farà più formalmente parte dell'Unione Europea. Prenderà così avvio il periodo di transizione. Forse.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.