D opo l'accordo tecnico della settimana scorsa per un divorzio ordinato tra Londra e il resto dell'Europa, è stata ieri la volta di un'altra tappa fondamentale sulla strada della Brexit. Si è infatti raggiunta l'intesa sul documento politico che contiene le linee guida cui si fonderanno le future relazioni tra l'Unione Europea e il Regno Unito. Il primo, un documento di quasi 600 pagine, legalmente vincolante, che dettaglia cosa accadrà subito dopo il 29 marzo del prossimo anno, quando Londra saluterà il continente. Quello approvato ieri, un documento di 26 pagine, non vincolanti, fatto di buoni propositi cui le parti si impegnano ad attenersi quando negozieranno le relazioni economiche e diplomatiche di lungo periodo.
Theresa May in questi giorni aveva cercato di calmare le acque agitate del partito conservatore, aspettate di vedere la dichiarazione di intenti politici prima di votare contro questo accordo. È rivolto a loro, infatti, il paragrafo che parla di confine irlandese: verranno prese in considerazione «misure facilitative e tecnologie» che consentano di evitare il ritorno a un confine fisico. Una formulazione che riprende le parole stesse usate dai brexiteers e che, nelle intenzioni della premier, dovrebbe far cambiare idea a molti parlamentari che le hanno voltato spalle. Si vedrà, le prime reazioni non sono incoraggianti per il governo.
«L'accordo giusto per il Regno Unito, che attua il referendum del 2016», l'ha definito la May. Ventisei pagine di insulsaggini, è la voce di Corbyn, che potrebbero essere state scritte 2 anni fa. Oltre ad affrontare il tema del confine, la dichiarazione contiene il proposito di stabilire un'area di libero scambio per i beni, che faccia leva sulla cooperazione reciproca in campo doganale e normativo. Cioè il definitivo abbandono da parte di Theresa May di un'area di libero scambio tra l'Europa e il Regno Unito, basata su regole comuni, che avrebbe in pratica mantenuto Londra all'interno del mercato comune. Si fa poi riferimento al fatto che «sarà migliorata la singola area doganale contenuta» nell'accordo tecnico, la famigerata clausola di backstop che scatterà a partire da fine 2020, non dovesse essere trovata un'alternativa a un confine fisico in Irlanda. Il punto è controverso, potrebbe significare che Londra non sarà libera di stringere nuovi accordi commerciali con paesi extra europei: sarebbe una Brexit a metà che non consente a Londra di acquisire vantaggi competitivi e commerciali rispetto ai paesi dell'Unione, fumo negli occhi dei breexiters. Si parla poi di volontà «di esplorare la possibilità di cooperazione tra le autorità del Regno Unito e le Agenzie dell'Unione Europea» in campo farmaceutico, chimico e nell'aviazione. Un politichese mellifluo che rivela l'ammorbidimento di Bruxelles a favore di una collaborazione con Londra in questi campi. Così come sulla sicurezza e sulla gestione e lo scambio dei dati informatici.
Rimangono inoltre molti punti ancora irrisolti, anche nelle intenzioni. Come l'accesso alle pescose acque scozzesi. Nonostante le pressioni di Parigi, Londra e Bruxelles si impegnano nel testo a trovare un'intesa entro il 1 luglio 2020. Una vaghezza che preoccupa i parlamentari conservatori scozzesi, che sulla promessa di riprendere il controllo delle acque territoriali si giocano le future chance di rielezione. E anche di Gibilterra non viene fatta menzione. Negli ultimi giorni il governo socialista spagnolo, soprattutto per motivi elettorali interni, ha cercato di forzare la mano sui futuri rapporti tra la Rocca territorio inglese da 300 anni e la Spagna. Un tradimento, ha dichiarato in serata Madrid.
Cosa succede ora? Entrambi i documenti dovranno essere approvati dai 27 governi dell'Unione che si riuniranno domenica in un vertice
straordinario. Non dovrebbero esserci sorprese, nonostante il colpo di coda spagnolo. La parte difficile del percorso sarà il passaggio parlamentare a Londra, a dicembre, dove i numeri continuano a non quadrare per Theresa May.
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