da Washington
Una cena, una prima colazione, una passeggiata, un lunch, una conferenza stampa. Più un sacco di tempo per parlarsi a quattrocchi. La prima visita di Gordon Brown da premier britannico in America è stata lunga e il più possibile cordiale, in una sede come quella di Camp David che si colloca a mezza via fra la solennità ufficiale della Casa Bianca e il calore dellintimità nel ranch texano del presidente George Bush. I due statisti dovevano soprattutto conoscersi per iniziare una relazione che tutti sanno non potrà avere la stessa natura di quella dei lunghi anni passati con Tony Blair. Lo si è visto anche da come i due leader erano vestiti: non più in jeans e maniche di camicia, ma in doppiopetto. E le unanimità annunciate e le concordanze suggerite riflettono la differenza di stile.
Rispetto al predecessore, lo scozzese venuto da Londra è stato anche in questa occasione più formale, dalla prosa più asciutta, cauto e concreto, senza le esuberanze di Blair. Lo aveva fatto preannunciare, del resto, da uno dei suoi ministri: con Brown Stati Uniti e Gran Bretagna saranno amici stretti e leali ma non «fratelli siamesi». Anche nelleloquio durante la conferenza stampa si sono potute notare sfumature di differenza non inattese.
Bush si è lanciato, come nelle sue abitudini, in una «grande visione» del mondo, delle minacce, dei compiti e dei doveri con una forte componente morale e religiosa, riferendosi una volta di più alla lotta fra il Bene e il Male, mentre Brown si è riferito soprattutto a esigenze concrete con un linguaggio più scarno, le parole soppesate. A conclusione limpressione diffusa è che accordo ci sia stato su quasi tutti i punti e su quasi tutti i problemi esaminati, magari con sfumature differenti di intonazione. Brown ha comunque elogiato gli Usa «per il loro ruolo-guida nella lotta al terrorismo internazionale».
I rapporti fra Stati Uniti e Gran Bretagna continueranno ad essere determinati dalla «speciale relazione» che, ha sottolineato Brown, non deriva soltanto dalla comunanza di interessi ma nelle comuni radici ideologiche e culturali che fanno dei due popoli qualcosa di più di soci e alleati. Magari con minori effusioni, ma questo dipende dallo stile degli uomini. È seguito, passo passo, lesame dei problemi sul tavolo, concluso quasi sempre con un accordo o un quasi accordo.
Unanimità sullAfghanistan, che il premier ha definito «la prima linea nella guerra al terrore», definizione che il suo interlocutore spesso riserva invece allIrak. Unanimità sul Darfur, o meglio sulla necessità di fare qualcosa di concreto ed è sempre più probabile che il ruolo-guida in tale iniziativa tocchi alla Gran Bretagna, magari in stretta collaborazione con la Francia. Unanimità su Doha e la globalizzazione. Accordo sullIran, o meglio sulla necessità di inasprire le sanzioni attraverso lOnu per far fronte ai progetti nucleari di Teheran. Nessun accenno, invece, agli eventuali passi successivi, che Washington non esclude possano essere militari e che Londra ha finora sempre sconsigliato.
SullIrak vanno lette le parole, ma anche gli spazi fra le righe. A cominciare dalla assicurazione che non ci sarà in proposito una «rottura» fra Londra e Washington. Lalternativa al «blairismo» non è il disimpegno della Gran Bretagna, bensì una collaborazione articolata. «Apprezzo - ha detto Bush - limpegno britannico nella guerra». Brown ha espresso un giudizio positivo su colloqui che ha definito «intensi e franchi». Le differenze emerse fra i due statisti sono soprattutto di «temperatura» emotiva. Il presidente ha detto che che «un fallimento in Irak avrebbe conseguenze disastrose per gli Stati Uniti» e ha aggiunto che lospite «se ne rende conto», ma Brown non ha preso impegni su quanto a lungo la Gran Bretagna potrà partecipare alla guerra che, ha detto il capo della casa Bianca, «durerà a lungo».
La decisione, ha spiegato il premier, dovrà essere presa su consiglio dei comandanti militari, soprattutto riguardo la situazione nella provincia di Bassora, quella affidata alle forze britanniche.
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