Un brutto film per la sinistra toscana, quello che è andato in scena in questi giorni in Consiglio regionale. Forte elettoralmente, storicamente radicata nella società e nel sistema economico - in cui la presenza degli eredi del Pci appare spesso inestricabile dal mondo degli affari - la coalizione di governo della regione rossa per antonomasia si è arenata e spaccata su un provvedimento che sta a metà fra le politiche del commercio e la cultura, ovvero la disciplina dei cinema: piccoli, medi e mutisala.
Il caso nasce da una proposta di legge, che è stata sponsorizzata nei mesi scorsi dall'assessore dipietrista alla Cultura, Cristina Scaletti. Quel disegno - e qui sta l'incidente diplomatico interno alla coalizione di governo - è stato stravolto in Consiglio regionale dagli alleati dei dipietristi, il potente gruppo del Pd. Tanto è bastato per far infuriare l'assessore stessa e il suo partito, che ha deciso così di votare insieme al Pdl e al resto della opposizione. La legge è passata, anche se per pochi voti di scarto (24 a 18), grazie al sostegno del gruppo Fds-Verdi. Ma è scoppiato un caso politico.
Causa della frattura, nel merito, un parametro introdotto come requisito per l'apertura di nuove sale: la distanza tra i cinema multisala. Un parametro che era dentro la proposta licenziata dalla giunta, ma che è stato del tutto sostituito dalle misure introdotte dai Democratici: le nuove regole prevedono una distanza minima di 15 chilometri solo per i multisala di grandi dimensioni con più di otto schermi; e differenziano gli esercizi cinematografici in strutture piccole (fino a 4 schermi e 700 posti di capienza), medie (da quattro a otto sale) e grandi (oltre gli otto schermi). Per il resto si prevede la liberalizzazione delle piccole realtà mentre per l'autorizzazione delle medie e grandi strutture è necessario un parere della conferenza dei servizi.
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